lunedì 24 dicembre 2007

TRE

La bellezza cangiante
Traduzione da Hopkins

Gloria a Dio per le cose che ha spruzzate:
i cieli bicolori, pezzati come vacche,
la striscia roseo-biliottata della
trota in acqua, il tonfar delle castagne
-crollo di tizzi giovani nel fuoco-
e l’ali del fringuello; per le toppe
dei campi arati e dissodati, e tutti
i traffici e gli arnesi, e tutto ch’è
fuor di squadra, difforme, impari e strambo,
tutto che muta, punto da lentiggini
(chissà come?) di fretta o di lentezza,
di dolce o d’aspro, di lucore o buio.
Quegli le esprime – lode a Lui – ch’è sola bellezza non mutabile.

[Eugenio Montale, Quaderno di traduzioni, Mondadori 1977]

Il segreto della storia è questo, allora.
Gloria e grazie al Dio bambino, perché ci ha scoperto plurali e ogni anno tenta di ricordarci che possiamo farcela… a vedere almeno doppio. Se proprio non possiamo multiplo.
In fondo, ci ha dato l’esempio: Dio e uomo, Figlio e Creatore, Bambino e Maestro.
Possiamo farcela, coraggio.
Ogni giorno un po’ d’esercizio.
Grazie ai giovani perché lo siamo stati. E grazie ai vecchi perché potremmo esserlo.
Grazie ai miti perché vorremmo imitarli. E grazie ai prepotenti perché non vogliamo diventarlo.
Grazie alla malattia che rallenta il tempo. E grazie alla salute perché lo accelera.
Grazie ai no che riceviamo, perché forse pronunceremo meglio i sì.
Grazie alla vita che non è perfetta e sul più bello finisce, ma, appunto, sul più bello.
Grazie a Dio che è anche uomo. E grazie a noi che crediamo che lo sia.
Grazie al Natale che è la festa della veglia: non solo dì, non sola notte.
E ogni giorno ritorna con i suoi grazie, ma anche no.
Ogni giorno un po’ di esercizio che si chiama Natale.

Buona, bella fatica a tutti!

martedì 11 dicembre 2007

DUE

[…] crediamo nel Natale come in ogni cosa in cui credono gli uomini, come crediamo nell’estate e nell’inverno, nel mattino, nel pomeriggio e nella sera […] Il Natale è l’unico giorno che gli uomini di buona volontà hanno in comune con gli uomini di cattiva volontà. E avere pace e comunione, per un giorno, anche con le più nere carogne della società umana significa credere in un tempo in cui vi sarà comunione senza che più vi siano carogne.
[Elio Vittorini, Diario in pubblico, Bompiani 1976]

La storia finisce un po’ male.
Gesù nasce, ma poi muore. E muore tragicamente e drammaticamente isolato e solo.
Come del resto era nato altrettanto solo e rifiutato. Solo la luce del cielo che l’aveva voluto si era accorta della sua voglia di vivere, della donna senza la quale sarebbe stato solo dio, dell’uomo che li ha protetti e ha vegliato su quella pancia di terra e spirito che era cresciuta sotto gli occhi di tutti senza che nessuno vedesse.
Anche alla fine il cielo si è accorto di lui e ha soffocato nel buio le lacrime di una madre che aveva perso ciò che non aveva mai avuto e la ribellione di un figlio che avrebbe potuto non esserlo.
Ma questa è la fine, e noi siamo solo all’inizio.
E all’inizio la storia sorride e ci appassiona perché, contro tutto e tutti, grandi cose promette il prodigio dell’amore assoluto che la madre, il figlio e il padre custode incarnano.
E vissero felici e contenti vorremmo pensare la sera di ogni natale. Come accade nelle favole belle, ci aspettiamo che cali il sipario e vivano la loro vita, per la quale ci sembra abbiano già faticato tanto, e la famiglia cresca come vorremmo crescessero le nostre, con i figli, qualche acciacco o litigio e i dolori, sì ma il giusto, che tocchi un po’ a tutti. E poi la vecchiaia, va bene, ma con i nipoti e una morte un po’ finta e la sopravvivenza assicurata dalle generazioni che abbiamo contribuito a far nascere.
Saremmo tutti più al sicuro delle nostre certezze se questa famiglia somigliasse all’idea che noi abbiamo delle nostre. Chissà dove abbiamo raccolto tante aspettative, chissà perché coltiviamo frustrazioni.
Basterebbe vedere che nulla vi è di rassicurante a Betlemme. Il nostro bisogno di consolazione non abita lì.
In quella notte, è nata, in fondo, solo la comunione tra diversi. E prima inconciliabili.

continua…

mercoledì 5 dicembre 2007

UNO

PETIT NÖEL
S’avvicina il Natale.
Gesù, portami via.
La tua è la più bella bugia
che possa allettare un mortale.

[Giorgio Caproni, da Res amissa, Garzanti 1991]

Almeno adesso siamo in dicembre e si può fare il conto alla rovescia senza dover usare le mani di troppi parenti.
A ottobre è comparso il primo panettone e nessuno ancora immaginava il cappotto.
Prima di Ognissanti sugli scaffali dei supermercati si sono sdraiati frutta secca, praline e torroni.
L’undici di novembre è stato indimenticabile: almeno quattro operai armeggiavano alle luminarie di un grande centro commerciale. Il giorno dopo ho verificato: alberoni natalizi, obesi come solo il natale che il perfetto commerciante immagina, illuminavano strade ancora sufficientemente baciate dal sole.
Da allora ogni settimana un segnale in più.
Il calendario dell’avvento con le sorprese di cioccolato appeso dietro la porta d’ingresso dei vicini.
Qualche corona di vischio artificiale sui portoni di sicurezza di villette perbene, pronte ad accogliere l’unico ladro amato, il Babbo Natale avvinghiato alla grondaia.
La novità dei Babbi che neanche hanno voglia di faticare, stesi sull’amaca lasciata in giardino dall’estate, forse proprio per la ricorrenza.
Senza contare che da due mesi sento chiedere: “Che cosa compri per natale? Cosa ti metti? Dove vai a natale?”.
Insomma, natale non è più una festa è una stagione, la quinta, desiderata più delle altre quattro, ambita almeno quanto l’ altra, la sesta, aggiunta in risposta al bisogno di diversificare i consumi, il ferragosto. O forse, natale e ferragosto sono semplicemente i superlativi intimi di inverno ed estate, che volendo, ma non potendo, farsi chiamare come vorrebbero - in omaggio al freddissimo e al caldissimo che la tradizione impone loro - estatissima e invernissimo, hanno scelto per sé e di sé le parti che siano sinonimi di esagerato benessere, che facciano sentire la gente finalmente ricca di qualche cosa.
Per qualcuno, però, le tappe settimanali di avvicinamento all’evento sono una iattura, segnano l’avvicinarsi inesorabile di acquisti e pranzi, auguri e sorrisi, note a volte impietose del contratto che si sottoscrive tacitamente vivendo. Natale come una tassa, in pratica, una rata del mutuo a vita che si firma con il primo vagito. Non tutti, in effetti, hanno voglia di ricordare che si deve ancora assolvere, magari con i capelli ormai bianchi, a un debito che nel corso degli anni ci ha prosciugato le casse e i sentimenti e i cui interessi ci tramandiamo di generazione in generazione. Senza che nessuno possa ripagarli, né ricordi chi sia stato e dove sia fuggito l’usuraio che ha dato vita alla truffa di credere che le favole esistono.

continua...