giovedì 24 luglio 2008

Bolle e zuppe

Ho deciso che il mio colore preferito è l’azzurro dei suoi occhi, con una punta di malva chiaro come nel pareo che mi ha regalato, qualche anno fa, alle Seychelles. Mi vestirò di malva chiaro, quando abbandonerò il verde-prigione di questa giungla.
[I. Betancourt, Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli. Con la risposta di Mélanie e Lorenzo Delloye-Betancourt, Prefazione di E. Wiesel, Garzanti 2008]

Quando ci si lascia per un po’ è necessaria una riconciliazione. Non per obbligo, non per imposizione altrui, ma per il piacere di farlo.
La fase della riconciliazione è la più dolce che io conosca. È la soluzione che ha vinto la difficoltà, è la convalescenza dopo la malattia, è il silenzio che sorride benevolo al rumore.
Bisogna volerlo, certo, bisogna coltivarlo già nell’irrequietezza della urgenza che travolge le più tenaci speranze e i più intensi desideri. Quando ci si abbandona al fluire degli eventi senza opporre resistenza, senza trovare in se stessi il coraggio di immaginare altri cieli, di ricordare altri volti.
La riconciliazione è come uscire da una bolla, di bene o di male non importa, nella quale si rischiava di annegare e annegare in una bolla è come morire senza malattie, feriti dal nulla e uccisi dai fantasmi.
Uscire dalla bolla ed entrare nel territorio della riconciliazione non è impossibile neppure nelle situazioni più difficili, anche quando la bolla è più grande del pensiero che non sapeva pensarla.
Basta un colore, un sapore, il loro ricordo in un fermo immagine trovato per caso e volontà nel film che ci trascina via e la bolla può diventare la zuppa calda della memoria, il ragù dell’amicizia, il guardaroba dei vestiti buoni per l’anima.
La riconciliazione porta in dote un passato nuovo e una speranza non scontata.
Vale per le grandi storie e vale per i piccoli blog anonimi ma non estranei alla vita.
Vale per tutti quelli che preferiscono le zuppe alle bolle.