mercoledì 27 agosto 2008

Riciclare la vita

Dedicai l’intero pomeriggio a radunare le foglie, trasferendole sulla carriola e portandole poi nello stabilimento balneare dove dovevano essere bruciate per scaldare l’acqua destinata alla mia strofinata serale. 
[…] Il giardino perfettamente pulito sembrava un tappeto di feltro ricoperto di muschio con morbide ondulazioni, mentre nuvole gonfie galleggiavano sullo stagno.
Poi si alzò il vento.
Nel giro di pochi secondi il campo fu ricoperto, proprio ricoperto di foglie.[…] Per rifare, al contrario il mio lavoro, ci vollero non più di una trentina di secondi. […] Mi domandai: se una foresta viene spazzata e nessuno lo vede, è mai stata spazzata?
[L. Rafkin, Lo sporco degli altri, Feltrinelli 2000]

Dove finiranno i pensieri consumati e superati dagli eventi (le paure, i timori e le speranze per il futuro, quando ormai il futuro ha preso il nome di passato), i pensieri diventati o sempre stati inutili ma ritenuti fisiologici e necessari (i dubbi dell’amore, le insicurezze del proprio corpo, le recriminazioni per i soprusi subiti), i pensieri liberi di pascolare in un pomeriggio estivo senza obblighi di lavoro?
Si mescoleranno ai pensieri frantumati ma anch’essi superati di chi ha assistito un morente, di chi ha atteso un marito o un figlio, di chi conosce la malattia?
Tutti insieme nella stessa infernal-paradisiaca discarica dei pensieri?
Ci sarà un riciclaggio, un compost pensieroso?
Forse c’è, e noi, ogni volta che trepidiamo per un amore o vorremmo scongiurare il male che temiamo, usiamo pensieri altrui, rigenerati dalla sosta nel grande deposito dei pensieri scaduti e pronti ad accogliere anche il nostro non detto.
Forse è anche possibile regalarli, i pensieri fuori servizio, come abiti smessi ma ancora in buono stato, come un libro amato e affidato alle cure di altri occhi, come un dolce superfluo e indispensabile per chi lo riceve. Come dire alla propria figlia, anch’io avevo paura del buio quand’ero bambina, e poi la paura è passata ma l’ho tenuta da parte per ragalartela quando fosse stato il momento e dimostrarti, con la polvere degli anni che si è depositata su mamma e paura, che poi anche pensieri così passano, con la pazienza e il bene.
Sono sicura, i pensieri si possono riciclare e anche regalare. Obbligo umano e legge divina lo esigono.
Pensate il business, altrimenti!

sabato 2 agosto 2008

Prima di

R. Sappiamo di essere il nostro corpo, ma pensiamo di averlo , come se la coscienza avesse un altro ordine di esistenza, stesse nel corpo come in una casa, lumaca nel guscio. Dirci: il corpo è la prima cosa che ho e il corpo sono io, non fa esattamente lo stesso. Essere e avere non sono lo stesso.
[M. Freire e R. Rossanda, La perdita, Bollati Boringhieri 2008]

Un uomo si sente dire la diagnosi del male incurabile che l’ha colpito.
E dopo?
Al medico non spetta altro compito.
La moglie non osa dire nulla poiché nulla ha mai osato.
I figli hanno sempre obbedito senza il permesso di pensare.
E l’uomo resta solo a imprecare sulla disgrazia, sulla maledetta sfortuna che gli è capitata, proprio adesso.
C’è stato un tempo in cui l’uomo dettava la legge della sua casa, sorrideva devota la moglie, proni i figli, alienati dal fuoco di giovinezza.
E la parola non era che una. La sua, che non ne permetteva un’altra dopo.
Adesso è tardi. Demente la moglie, assassini i figli.
Le parole del dopo hanno bisogno di una vita prima.