sabato 28 febbraio 2009

Chiedo scusa, è per me...

Le pugnalate più profonde arrivano
quando il mondo sembra più soffice.

[Alberto Casiraghy, Distrazioni e giraffe. Aforismi e riflessioni sul tempo che corre, Hestia Edizioni 1996]

«Perché non sorridi mai, Momo?» mi domandò monsieur Ibrahim.
[…]
«Sorridere è roba da gente ricca, monsieur Ibrahim. Io non ho i mezzi».
Naturalmente lui cominciò a sorridere, tanto per farmi girare le scatole.
«Perché, tu credi che io sia ricco?».

[E.E. Schmitt, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, e/o 2006]

Compito per la settimana:
costruire giorni di senso compiuto
con i verbi lasciare, attraversare, restituire.

venerdì 20 febbraio 2009

Direfarebaciareletteratestamento

C’è una soglia segreta di pazienza passata la quale ci si oppone di colpo alla disciplina quotidiana.
[Erri De Luca, In alto a sinistra, Feltrinelli 1994]

Dal finestrino abbassato di una piccola utilitaria incolonnata, come centinaia di altre, alle otto del mattino su una strada di città, escono come proiettili resti di mandarino.
Una mitragliata di bucce e semi che, a ripetizione e a intervalli regolari, planano sull’asfalto, segnando il passaggio di una macchina-pollicino bisognosa di una scia da seguire per un sicuro ritorno serale.
Però il pensiero della favola è tramontato quando una manciata di scorze arancioni ha colpito un motociclista che sopraggiungeva e superava la vettura. Imprecazioni e insulti reciproci. D’altro canto non sono questi i tempi della poesia e delle favole, quanto piuttosto di case e di popoli delle libertà.
Perché non dunque di strade delle libertà?
Forse ho capito. Mentre qualcuno continuava a ripetere si può fare, qualcun altro faceva e diceva fate, fate pure ciò che volete, dove vi pare e quando vi pare.
Dal che si deduce che nel paese delle libertà ci sono piccole verità: mors tua vita mea, nel paese dei ciechi anche un guercio è re, meglio una gallina oggi di un piatto di pasta all’uovo domani.

giovedì 12 febbraio 2009

Ciao E.

La sfida tecnologica a prolungare la vita ha gradualmente avuto la meglio sulla qualità della vita vissuta. Processi pericolosi e insidiosi ci hanno fatto perdere di vista fino a che punto il nostro modo di vivere sia più importante del momento in cui moriamo. 
[…] L’arroganza della medicina scientifica alimenta crescenti aspettative pubbliche di perfetta salute e tenace longevità e questi processi sono sfruttati con avidità da giornalisti e uomini politici e, soprattutto, dall’industria farmaceutica.
[Iona Heath, Modi di morire, Bollati Boringhieri 2008]

Appena qualche attimo prima di morire, appoggiata al nocciòlo del giardino, l’Annina emerse dall’ombra in cui la sua mente si era nascosta da molti anni e all’improvviso, in quei brevi istanti che la morte ancora le concesse, […] l’Annina ricordava con chiarezza di avere vissuto.
[Ugo Riccarelli, Il dolore perfetto, Mondadori 2005]

Più che la storia di una povera figlia, questa è la storia di due padri.
Procreare e accudire figli bambini, questo hanno avuto in comune. Poi basta, le loro strade si sono divise. Non tanto per la politica o per il credo, quanto per l’idea stessa di paternità che hanno scelto di interpretare anno dopo anno.
E quando, un giorno, entrambi si sono chiesti a che serva un padre e quale sia il suo compito nei confronti dei figli ormai grandi, si sono risposti in maniera inconciliabile.
L’uno ha creduto che un padre è tale e lo rimane quando insegna e impone ai figli di aggrapparsi e a tutto quello che toccano: lo studio, il lavoro, l’amore, la vita. “Fai come me, figlia mia: lotta, costruisci il tuo futuro, non mollare mai. Chè la vita è tua, qualunque cosa accada. Tutto è possibile se solo lo vuoi. Vedi? Anch’io non invecchio, perché non voglio invecchiare: mi tingo, faccio diete, dico ciò che voglio senza pensarci troppo, come i giovani.
Avere, progettare e sperare di avere tutto, carriera e figli, bellezza e potere, questo devi fare figlia mia. Tuo padre è maestro, stagli vicino e non sbaglierai. Io solo, che ti ho messo al mondo e in un certo senso ti possiedo, so qual è il tuo bene”.

L’altro ritiene che il bene sia parola troppo ingombrante anche per un padre. Non si può conoscere il bene dell’altro senza sovrapporre il desiderio del proprio.
Quando le cose vanno bene, non c'è bisogno dell'ombra di chi ti ha messo al mondo. 
Invece un padre può solo dimostrare di essere tale nei momenti difficili, quelli del rifiuto e del dolore, stando magari in silenzio e cercando di ricordare le parole dette e i pensieri discretamente taciuti, aiutandoti a capire se i segnali della vita vanno nella direzione che vorremmo. 
Questo padre vorrebbe insegnarti che puoi diventare davvero grande solo se impari a lasciare più che a prendere, come sta facendo lui in questo momento. Che amare non significa trattenere a tutti i costi, perché, quasi sempre, chi pensa di lottare per qualcuno o per qualcosa, lotta solo in nome del proprio egoismo e della propria incapacità di accettare, appunto, che la vita sia solo un prestito da restituire. E così sia.

mercoledì 4 febbraio 2009

Negazionismi

Se il tempo che condiziona la vita umana scorresse senza gettare sul proprio corso l’ombra di se stesso, se non fosse curvilineo come lo è tutto su questa terra […] le immagini del passato si presenterebbero fedeli […] ma nel tempo tutto si manifesta in modo concavo o convesso, soprattutto il passato, che per essere salvato […] deve essere corretto, restituito a quello che era, e ancor di più, a quello che stava per essere.
[M. Zambrano, L’esperienza della storia, in aut aut, maggio-giugno 1997]

I pesci rossi che abitano gli acquari rotondi (le bocce, tanto per intenderci) diventano strabici per la visione deformata della realtà che il vetro incurvato produce.
L’effetto lente, insomma, ingrandisce e distorce la vista di chi sta aldilà del vetro, con gravi danni all’equilibrio di chi vede e metamorfosi spaventose di chi è visto.
Chi sta dentro pensa di vedere qualcosa che fuori è del tutto diverso da come appare a loro. E solo a loro.
Ogni tanto qualcuno libera i pesci nella speranza che la riacquistata libertà li gratifichi a tal punto che con lo strabismo possa andarsene anche l’ottusità che li ha cullati.
Ma un malato rimane un malato, non diventa mai un ex, me lo disse un giorno, con chiarezza, un medico ruvido e pietoso come i vecchi veri, quelli asciugati dai dolori propri e altrui.
E poi chi libera i pesci è spesso chi li ha voluti dentro la boccia, ha permesso che vedessero storto, che capissero niente delle cose della vita attorno.
Così, quando escono, non possono dubitare di sé e della mano che li ha nutriti, preoccupati solo di raccontarsi che le loro ragioni e il loro bene coincidono e li proteggeranno dalla verità che si mostra non più deforme per la prima volta.
Meglio negare, negare e ri-negare.
Ma questa è una storia di pesci piccoli, tanto sciocchi da scambiare il mondo tondo con la loro boccia e da confondere i nomi del bene e del male, come si fa con i fratelli gemelli.
Ancora una volta meglio il rumore del mare.