giovedì 31 dicembre 2009

Questa non è una lista

Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
[Luca 2,51]

La leggerezza felice della sera del 14 gennaio.
Il dolore incredulo e paralizzante di due giorni dopo.
Il sorriso di Alice, il 15 di febbraio.
La scoperta e la marcia forzata delle settimane successive.
L’afa del 2 marzo.
La rosa nel secchio dell’ultimo giorno del mese.
Le scale dei sabati di aprile.
Pasqua di Resurrezione.
La prima notte del primo maggio.
Le scatole piene e rotte del passato e del lavoro.
La luce nuova di giugno.
La guarnizione più lungha del mondo.
La notte del 10 luglio e la gioia nei passi del 12.
La mattina buia del 13.
La rabbia stanca di Ferragosto.
Le foglie dei platani, una treccia d’aglio e una bottiglia di Falanghina che si può bere solo lì.
Lo schifo del 2 settembre.
La sorsata di bene del 9.
Le passeggiate in bicicletta come in un’ottobrata romana.
I silenzi protettivi del mio amore.
Il buio di novembre nel cuore e nei pensieri sul futuro.
La stima e la fiducia dei compagni di viaggio.
In cucina, la sera infinita e sfinita dell’11 dicembre.
Il natale del 22 dicembre (che poi era già il 23).
L’onda che si spegne non è meno salata di quella che arriva e l’ultima neve non è più bianca di quella che l’ha preceduta, perché anche il mare e la neve sono nomi plurali che proteggono nella propria ombra il bene e il male di sé (come tutti, in verità).
Non butto nulla, non tengo nulla.
Se si può invecchiare ringiovanendo, si può custodire facendo spazio.
Buona raccolta di nuovi giorni.

domenica 13 dicembre 2009

La finestra sul cortile

In russo mentire non significa esattamente ingannare, ma dire cose superflue.
[A. Anedda, La luce delle cose, Feltrinelli 2000]

“Trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno”. Così un tempo, la filastrocca aiutava i più competitivi a concludere che per sette a cinque vincono i mesi con trentuno giorni. I lenti e riflessivi invece ragionavano sul fatto che, a parità numerica di giorni, dicembre è il peggiore perché, pur di non finire, gioca ad allungare la sua lungaggine e allargare le sue giornate fino a stipare i suoi minuti con tutte quelle attese e aspettative, desideri e auguri, brindisi e pranzi, baci e abbracci che non sapresti davvero dove mettere in un mese qualsiasi.
Insomma, dicembre è un superlativo assoluto, il mese dei mesi che non può accettare di regalare giornate normali: vuote o infelici, silenziose o malate.
Dicembre si è persino regalato un calendario tutto suo, quel calendario dell’avvento con tanto di finestre che i più piccoli cominciano ad aprire dal primo giorno del mese.
“Ehilà… sono un mese condominio – sembra gridarci – non ve ne siete accorti? E abitato solo da belle persone, sia ben chiaro. Guardate infatti le mie finestre: disegni colorati che evocano bontà e dolcezza! Se poi avete qualche spicciolo in più potrete anche gustarlo il sapore dei miei giorni: comprate un calendario più ricco e ogni finestrella sarà allietata dalla nascita di un cioccolatino…”.
Un mese pieno di sé, si può ben dire, anche se ci lascia aprire le sue finestre...
Eppure questa faccenda è piuttosto intrigante.
Che sia dicembre l’inventore delle finestre? E quindi anche dell’idea di poter guardare e immaginare dentro e fuori, di avere occhi come abiti, da fuori e da dentro?
Se mi chiedessero di imparare di nuovo i nomi dei mesi tralasciando il superfluo (incredibile dictu, qualcuno teorizza l'esistenza e la superiorità del sapere necessario...), farei a meno volentieri di dicembre, non ho dubbi.
Mi terrei le sue finestre, però.
Così, tanto per usarle all’occorrenza nell'afa di luglio o nel gelo di gennaio, quando le storie degli altri poveri mariaegiuseppe, dentro, fuori e intorno a noi, non riusciamo e non vogliamo vederle proprio mai.

martedì 1 dicembre 2009

Basta una foglia

Parla –
ma non distinguere il sì e il no.
Dona al tuo parlare anche il senso:
donagli ombra.
(Paul Celan)

Da oggi pizza, grida uno striscione pubblicitario davanti a un ristorante.
La prima volta in cui ho visto l’insegna ho pensato che l’annuncio segnasse la data in cui anche la ristorazione più raffinata si apriva a un pasto giovane e alla portata di tutti. Dopo qualche giorno quel da oggi campeggiava ancora sullo stesso striscione che sovrastava lo stesso ristorante. Dopo sei mesi nessuno l’aveva aggiornato e da oggi, dopo due anni, è ancora sempre uguale a se stesso. È sempre da oggi il giorno in cui comincia l’era della pizza.
Come a dire che non si toglie a nessuno la possibilità di credere di essere protagonisti o spettatori dell’evento che accade oggi.
Anche dai ponti di strade piccole e grandi spesso incombe un oggi sposi che rimane affacciato sulle vite degli automobilisti fino a che violente intemperie non hanno la grazia di eliminarli.
Qualche volta l’annuncio è preceduto dalla data in cui il fatto si è registrato, eppure questo non basta a togliere quell’aura di festosa attualità alla scritta. Come se tutti questi oggi fossero novelli Caronte, che diventano vecchi sempre giovani e freschi e rendono noi, al contrario, vecchi inconsapevoli che la vita può solo passare e mai fermarsi nei non luoghi dell’oggi.
Capita, allora, di esserne sopraffatti e capita ancora più spesso di sentire l’esigenza di tornare a un ritmo naturale, a un oggi che sappia di passato e pregusti il futuro.
Capita di avere voglia di silenzio. Capita che basti guardare le foglie...