domenica 28 ottobre 2012

Prima e poi


Gli amici senza dubbio si muovono, seguono la loro via, si rendono ridicoli, sbagliano, perdono pezzi, spariscono per lunghi periodi; ma per me, ai miei occhi, la vera essenza è l’immutabilità, una sorta di persistenza naturale come di albero, di isola o di tempio greco, se vogliamo. Non è questione di lealtà, fedeltà, confidenza, affinità o altro. Stanno sempre lì, ci sono comunque, li ritrovi anche al buio. [...] sull’amicizia sono stati scritti saggi e trattati importanti ma io non me la sento di andare più in là di una similitudine, diciamo frugale: entri nella vecchia casa, cerchi istintivamente l’interruttore a destra della porta, premi, e la luce si accende, l’impianto funziona ancora [...].
[Carlo Fruttero, Mutandine di chiffon, Mondadori 2010]

Ai lati di una porta, ai margini di una strada, nel non detto della storia c’è posto (quasi e solo) per le chiacchiere inessenziali allo svolgersi del grande evento della vita, per l’erba infestante senza la quale non riconosceremmo la strada di casa, per i quadri che hanno anticipato il mondo che avremmo visto (forse e dopo).

venerdì 5 ottobre 2012

La quinta stagione


A fine giornata
come borsa abbracciata alla sedia
e briciola sul tavolo
e figlio unico
e luce a mezzogiorno.
Si dimentica che scivola
la vita
come onda sullo scoglio
e miele dal legno
e bacio del mattino
e pioggia sulla mano.
Si fa presto a dire ciao
se le stagioni sono quattro
e i progetti domani.
C’era scritto
“si consegna in giornata”
la quinta stagione,
che tiene per mano
l’attesa di una ciliegia
e la libertà del ritorno.


domenica 23 settembre 2012

Per una memoria dei piaceri (della navigazione)


Il tempo sospeso.
Leggere e non provare sensi di colpa.
La capacità dei non luoghi di fare nazione senza punti cardinali.
La voglia di giocare di un padre.
La consapevolezza del tempo-viaggio (quasi pari a quella del tempo-torta, più grande di quella del tempo-vita).
Sentire la fiducia di chi mi dorme addosso.
La presenza di dieci libri nella sala del ponte sei.
L’emozione dei cani (ma loro non la chiamerebbero così).
Le affinità elettive del ragazzo con la maglia gialla.
La pace del vento sul ponte otto.

domenica 9 settembre 2012

Arcobaleno


E in quel momento Jane Houlton era felice davvero. Mentre si muoveva appena dentro il suo bel cappotto nero, pensava che dopotutto la vita fosse un dono, che uno dei pregi dell’invecchiare fosse la consapevolezza che molti momenti non erano solo momenti, ma doni.
[Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, Fazi editore 2009]

“E’ un bellissimo color fango, mi creda: assolutamente portabile”, mi suggeriva (o forse suggestionava) la commessa prendendo la borsa che le avevo indicato in vetrina.
Poco prima l’avevo vista esposta: geometrica, elegante, funzionale. Di un colore... grigio-verde, avrebbe detto mia nonna, come gli occhi dello zio Giuseppe (la nonna non mancava mai di associare l’inusuale al quotidiano, per non perdere in nessuna  occasione il senso della misura, credo). Questo, però, non l’ho detto (bisogna andarci piano con i colori e con i parenti).
E la signora se ne esce con questa affermazione, che il colore del fango è bellissimo e si abbina con tutto.
Come bellissimo? Quando per caso sprofondi in una pozzanghera non pensi certo che il colore del fango è adatto a ciò che indossi e tanto meno lo consideri accattivante come un accessorio alla moda. Mi viene il dubbio che anche la materia (e la pazienza delle madri di figli maschi, di solito professionalmente infangati) si sia arresa al mercato.
Dopo avere imparato la lezione delle magliette limone, delle calze antracite (e, come nipote di carbonaio, ammetto di esserne un po’ inorgoglita) e dei pantaloni mirtillo, ho acquistato la sicurezza necessaria per sfidare la richiesta di una cintura (marrone) che ho definito castagna.
“Vuole quella? Quella moka, giusto?”, mi ha chiesto con sorpresa la giovane esperta di cromarketing.
“Sì, certo quella”, mi sono subito corretta, maledicendo la mia colpevole intolleranza al caffè.
Giuro che gli anni che mi restano li impiego meglio e studio la questione: non sia mai che qualcuno mi dica che stiamo attraversando uno splendido periodo cantina e io non capisca che è solo un momento nerissimo. 

lunedì 21 maggio 2012

E poi un giorno


E non potete insegnare a comodo. Dovete insegnare anche quando è difficile.
[Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, 1967]

Riesci a insegnare anche quando non vuoi. O forse non vuoi mai, e per questo ci riesci sempre. E' un dono, penso.
[A. Oleari, 2010]

Questa povera scuola, trascurata, amata male come un figlio ingombrante, che rinfaccia e riflette la miseria dei genitori; questa povera scuola, fatta di “chi sa fa, chi non sa insegna”; questa povera scuola, solo ferita diventa luminosa.

martedì 15 maggio 2012

Tradurre, interpretare

Qualche tempo prima, parlando con voi cronisti di allora, era stato possibilista, Egidio nostro xe un bon mulo, xe giovin, ga bisogno de fiducia.
Riunione di mercato, domanda diretta. Signor Rocco, e di Calloni secondo lei cosa facciamo? Luganeghe.
[Gigi Garanzini, Nereo Rocco, Strade blu Mondadori 2012]

Per anni o da sempre ci è piaciuto pensare a noi come il poeta ci ha insegnato: che siamo tutti come d’autunno sugli alberi le foglie.
Immagine malinconica, di dolorosa ma gratificante prospettiva.
Invece siamo solo carne, a pezzetti e di pezzetti, che viene alla luce nei momenti (rari) in cui non si tace la verità.







lunedì 30 aprile 2012

Torte parallele


Pescatore
In segno di sincera/stima particolare/scegli liberamente/come ti devo friggere/e come cucinare./Ti piace la padella/o vuoi, caro tesoro,/esser cotto in tegame/con olio e pomodoro?
Pinocchio
Se devo scegliere,/in verità/io scelgo subito/la libertà.
Pescatore
Sai che faccio? Ti friggo a fuoco lento/con gli altri pesci e rimarrai contento:/ché l’esser fritto in buona compagnia/ti dà buon appetito ed allegria.
[L. Compagnone, La ballata di Pinocchio, Stampatori 1980]

E’ straordinario come negli stessi spazi e per andare negli stessi luoghi gli uomini abbiano disegnato e percorrano strade diverse: alcune si chiamano arterie principali, altre strade secondarie.
In genere corrono parallele (idealmente parallele, almeno), a volte una delle due è più lunga, più lenta o più scomoda; a volte l’altra è più alberata o soleggiata, sterrata o  asfaltata, frequentata o solitaria.
Fatto sta che se vogliamo camminare dobbiamo scegliere per dove.  
Crediamo di scegliere, sarebbe meglio dire, perché il più delle volte sono l’attesa di chi ci ama, il malanno del giorno o il destino che ci aspetta a scegliere per noi: allora accade che avremmo potuto o potremmo fare grandi viaggi, e invece calpestiamo ciò che non vogliamo e non conosciamo. 
Capita allora che la strada parallela al viale del denaro e del successo si chiami viottolo della torta, quella che si prepara con un figlio malato che solo quello può fare.
Dosare, mescolare, impastare, ricette a memoria senza leggere o scrivere. Tanto meno far di conto. Tornano lo stesso a casa la sera e ripartono il mattino, padre e figlio, vivono e respirano lo stesso, senza attraversare la via dei grandi progetti, ma solo quella dello zucchero e delle uova.
Le torte che le madri amano preparare sono autostrade del gusto e del ricordo, queste torte parallele sono i sentieri sorprendenti della vita.

lunedì 23 aprile 2012

I bambini sono un treno

“Mi tieni il bambino?” disse Maria a Giuseppe, porgendogli un fagotto di stracci più pesante di quanto potesse lasciare immaginare la sola stoffa. E Giuseppe lo prese per la prima volta e lo tenne con imbarazzo (“non so se lo so fare”), poi più sicuro e stupito del piacere che stava provando”.

I bambini sono un treno,
in viaggio dove non si sa.
I bambini sono un treno,
alla meta con noi o anche no.
I bambini sono un treno,
qualche volti li prendi e altre li perdi.
I bambini sono un treno,
un sogno da lontano, i brividi vicino.
I bambini sono un treno,
pensando all’inventore.
I bambini sono un treno,
l’altrove senza noia.
I bambini sono un treno,
domani o un minuto è troppo tardi.
I bambini sono un treno,
potrei volere scendere.
I bambini sono un treno,
si parla e si sta zitti.
I bambini sono un treno,
partono e ripartono.
I bambini sono un treno,
non tornano mai.

Comunque sia, nelle stazioni ci si ama molto.

domenica 15 aprile 2012

La pazienza dell'acero

Hai notato come sembrano artificiali gli alberi di notte?
Gli alberi sono un teatro di notte”
(E. Hopper)

“Aspetta, aspetta...” comincia così la favola dell’acero rosso.
Silenzioso come fragola di bosco e squama di armadillo,
scruta il cielo e ama la terra.

Non vedrà il mare né Parigi,
solo formiche e farfalle
per imparare la fatica del vivere e i sogni dei viandanti.

Nei domani senza respiri,
più di libri o gatti,
dirà l'onestà che fu.

sabato 7 aprile 2012

Lato bi

Sai di essere l’unica persona che scuote il capo esasperata quando mi ostino a fare battute e chiacchiere insulse, quando mi rifiuto di essere diretto. A nessun altro ha mai dato tanto fastidio quanto a te. Sei il solo a volere che dica sempre qualcosa di vero.
[C. Tóibín, La famiglia vuota, Bompiani 2012]

Dovremmo frequentare dei corsi (e non basterebbe), per capire il lato bi.

Della domenica, il lunedì.

Di capodanno, l’ultimo giorno dell’ultimo mese.

Di un bacio, l’alito.

Di un bambino, l’adolescenza.

Di una promessa, l’ansia.

Di una partenza, il ritorno.

Di una dormita, i capelli schiacciati sulla nuca.

Di un libro letto, il dorso piegato.

Di una pizza, il bordo di pane scartato.

Dello sport, il sudore.

Di un saluto, il commiato.

Di un mazzo di fiori, un prato o una serra vuoti.

Della discrezione, l’indifferenza.

Di una parola, il silenzio.

Della vita, i cecchini.

Qualcuno lo potrebbe chiamare anche verità, ma il suo soprannome è lato bi.

lunedì 26 marzo 2012

La ragazza sull'altalena

Mi ha detto:
“Sono sull’altalena”
A quest’ora della notte?
“Sì, passeggio tra i fiori del bosco
e faccio l’amore con l’aria”.
“Vorrei invecchiare lenta, sai,
come le case che hanno muri nascosti e non rughe a cielo aperto.
Non hanno neppure il coraggio di morire,
le lasciamo noi, per carità”.
Non so se nostalgia di vita sia più forte
della terra sotto l' altalena,
seminata di necessità.

lunedì 19 marzo 2012

Didascalie









Se ne farebbe volentieri a meno.

Il cantante all’aeroporto con il figlio adottivo (dell’aggettivo).

Il ministro esce dal palazzo con la moglie (della rassicurazione).

I compagni di viaggio sono una coppia senza figli (della corretta informazione).

La centrale nucleare domina il paesaggio agricolo (di quel verbo da prima guerra punica).

In questo momento Dio ti ama (che ce lo dica una voce fuori mischia).

Sì, se ne farebbe a meno.

Resterebbe lo spazio per vedere un bambino con una donna accanto a una famiglia, mentre guardano tutti un paesaggio comunque amato da Dio.
Resterebbe il tempo di immaginare e sperare che quella non sia una pipa (o che lo sia davvero).

lunedì 12 marzo 2012

Oci ciornie

Irwin [...] E tu, Scripps, visto che ti sta tanto a cuore la verità, sappi che agli esami la verità conta come la sete per un sommelier o la moda per una spogliarellista.
[A. Bennett, Gli studenti di storia, Adelphi 2012]

Vorrei essere finestra, a volte.
Spesso.
Non fiore o albero che pure amo perdutamente.
Solo due ante, aperte o chiuse a ritmi regolari,
sonno e veglia, giorno e notte,
un cuore che batte
senza coscienza.
Pura meccanica di braccia la mattina e la sera,
di occhi veloci nel primo o nell’ultimo buio.
Vedere e non vedere quando è tempo.
Vorrei credere che basti a proteggere,
a salvare la vita dentro le mura,
dietro la luce che arriva o lascia
inerte la materia grigia degli addii,
dei baci e della verità.

lunedì 5 marzo 2012

Unità di misura

Viviamo più a lungo,
ma con minore esattezza
e con frasi più brevi”.
(W. Szymborska)

Bisogna porre rimedio a questa poca cosa della nostra vita imprecisa.
Ci insegnano a essere sobri di azioni e parole, quasi fosse una novità.
Già la maestra Adriana diceva di togliere aggettivi nei temi, “ché tanto si capisce lo stesso quello che volete dire”.
Ricordo il nostro gioco inventato per sfuggire alle regole ferree che aveva imposto: sostituire l’aggettivo di turno riferito a qualunque cosa con il nome di un compagno o un parente.
Nacquero così le giornate cesarine e i temporali luigi; c’era la stagione marta e quella maria, la festa andrea e il malumore giancarlo; le idee isabelle e il sorriso martino.
E quando l’ho conosciuto, la maestra Adriana era già morta da un pezzo, lui è diventato subito il tempo alberto, leggero e segreto come i bulbi da piantare e il mare da ascoltare in primavera.
In esattezza, la scuola insegna, ma la vita un po’ di più.

domenica 26 febbraio 2012

Dire o non dire

Non si sa che cosa dire vuol dire che verrebbero in mente delle cose da dire, ma che si sente o si capisce che quelle cose lì non sono adeguate, non sono sufficienti, non bastano, non risolvono, non smuovono, non raggiungono, spesso non sfiorano nemmeno la complessità, la profondità, il senso di ciò che si è presentato sulla scena del discorso: tanto più se significativamente per chi parla e per chi ascolta. 
E allora ci si ferma, sull’orlo di un abisso. 
E non si dice.
[Stefan0 Bolognini, Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire, Bollati Boringhieri]

Il cassiere ha visto. La persona alla destra della cassa era arrivata prima di quella alla sinistra. Nettamente. Poca gente, la coda giusta per un martedì.
“Prego, a chi tocca?”, è la formula di rito, non conta ciò che si vede e si sa.
“A me”, dice a voce alta quella di sinistra.
Quella di destra la guarda in silenzio, perché anche nelle piccole cose il diritto dovrebbe essere trasparente. Il cassiere tace.
“Ma è chiaro che tocca a me, mi ero appoggiata alla cassa, guardi ho i soldi in mano”, parla – grida - solo la signora di sinistra. Nessuno la ostacola nella sua galoppata trionfante, ma insiste, vuole vincere la gara del giorno.
Il cassiere procede, il suo contratto gli impone di scivolare tra le pieghe e le scuciture della realtà, mentre l’altra resta muta.
“Che dire? E’ incredibile, ma è sempre più spesso così”, commenta il ragazzo all’uscita dal ring della combattente.
“Non ci sono parole”, accenna l’acquirente doppiata.

Non sapere cosa dire salverà pure se stessi dall’abisso ma, qualche volta, sogna di spingere l’altro nell’abisso. Così, per risolvere un problema.

martedì 21 febbraio 2012

Su e giù

A me ha sempre colpito favorevolmente il fatto che una persona con cui parli, se è una donna è più facile che possa sorridere di una cosa da niente e immediatamente dopo fare un discorso di filosofia. Gli uomini staccano i due piani.
(Giancarlo Majorino)

Non è che noi facciamo cose diverse “ immediatamente dopo”. In genere noi facciamo tutto“mentre”, e così ci alleniamo moltissimo: la nostra vita è una specie di condominio senza ascensore, di casa con tante finestre, di album di figurine (non importa se doppie, ci piacciono anche di più).

Rispondiamo al capo mentre speriamo che il figlio piccolo abbia meno febbre; facciamo la spesa mentre ripassiamo la relazione per la riunione della mattina successiva; prepariamo la cena mentre ascoltiamo le infelicità sentimentali della figlia grande.

E, garantisco, si può parlare di letteratura, di filosofia e anche di scienza mentre si sorride, non in superficie, ma proprio dentro, in fondo al cuore e alla pancia, un po’ contente di essere le uniche in grado di partorire il “mentre”.

domenica 12 febbraio 2012

Per piacere

C’è una profonda differenza tra la cortesia formale e quella sostanziale, la gentilezza: per la seconda ci vuole più intelligenza. Nel primo caso la persona pensa a sé, al suo territorio ed è cortese per difesa. Nel secondo, si pensa soprattutto alla relazione fra sé e l’altro, e si vuole il benessere emotivo reciproco.
[G. Axia, Elogio della cortesia]

Capita spesso di sentire persone che, nel fare il loro lavoro o, meglio, nell’enunciare il lavoro che stanno per fare (e già su questo ci sarebbe più di qualcosa da dire), dicono all’interlocutore che “per correttezza” lo informano.

Il più delle volte di “corretto” in tutta questa informazione (e nella relativa azione) non c’è nulla, salvo l’interesse privato e il calcolo personale ipocritamente nascosto nella formula di cortesia non richiesta.

Come non dubitare istintivamente di chi si dice corretto?

Primo, perché se lo dice da solo, quasi fosse, nel contempo, maestro e studente, promotore e promosso.

E poi perché nei momenti che contano davvero nella vita nessuno si sognerebbe di fare alcunché per correttezza, semmai per misericordia, per passione o compassione, magari per necessità, qualche volta per amore (incredibile, vero?), ma per correttezza no, davvero no.

Evitiamo di evocarla, la correttezza, che quando compare attecchisce nel prato della vita come un’erba infestante e lentamente soffoca i fiori, del piacere o del dovere che siano.

domenica 5 febbraio 2012

Sceneggiature

Una sola cosa mi meraviglia più della stupidità con la quale la maggior parte degli uomini vive la sua vita: l’intelligenza che c’è in questa stupidità. 
[F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Feltrinelli 2003]

Ovunque, tra madri:
Potresti chiederle come fa con i suoi.
No, lei ha i figli grandi.

Davanti a un ascensore guasto, tra vicini di casa:
Ancora!
Ma lei abita al primo piano, io al quarto.

Ovunque, tra madri:
E’ stata brava a crescerli così.
Vorrei vedere, non è mai andata a lavorare.

Al parcheggio di un ospedale, tra conoscenti:
Mio cugino è ricoverato per una frattura.
Ah beh, mio cognato ha un tumore.

Ovunque, tra madri:
Anche quest’anno è stato promosso.
Con tutte le ripetizioni che hanno pagato.

In ufficio tra colleghe:
E’ stato un parto semplice, in un certo senso.
Ovvio, è il quarto.

Ovunque, tra madri:
Partirà per un dottorato.
Certe cose si fanno solo se si hanno i soldi.

La domenica pomeriggio tra parenti:
Anche lui si sposa.
Facile, gli avete comprato casa.

Non ho trovato la scala di misurazione della stupidità, ma l’unità di misura è sicuramente il P.L.U. (parola in libera uscita).

domenica 29 gennaio 2012

Altrove

C’è insomma chi privilegia l’attenzione per ogni attimo vissuto e chi non se ne preoccupa, più intento al raggiungimento di uno scopo. Si tratta di due stili filosofici diversi, già precoci, che siglano l’origine del temperamento contemplativo che potrà prevalere in noi o, viceversa, della vocazione indomita, pratica, concitata che ci caratterizzerà.
[Duccio Demetrio, Filosofia del camminare, Raffaello Cortina 2005]

Il ragazzino seduto accanto si distrae con il suo iPhone in un luogo e in un momento che non ammetterebbero distrazioni. Un corpicino lungo dieci anni e un oggetto lieve come il mondo legati indissolubilmente contro l’assedio della noia da obbligo.

L’istinto alla censura è sopraffatto dalla tenerezza e dalla pena che sia necessaria un’appendice di sé per dare aria ai pensieri, che la propria immaginazione non sia sufficiente per immaginare la libertà.

Suo padre, lì accanto, è più fortunato, i sogni coltivati fissando il soffitto o la punta delle scarpe l’hanno allenato alla distrazione silenziosa e socialmente trasparente. 
Il desiderio di fuga si può ereditare ma l’esercizio di se stessi altrove un po’ meno.

domenica 22 gennaio 2012

A margine

Non avverto nessuna parentela con chi in treno, invece di aver l’occhio al paesaggio, non importa se visto le mille volte, lo tiene su un libro, sia pure la Commedia. 
[Camillo Sbarbaro, Fuochi fatui, in L'opera in versi e in prosa, Garzanti 1985]

Lo sgomento dei militanti di partito, le bandiere ammainate sulle spalle, davanti al numero inverosimile di stranieri sullo stesso marciapiede, in un’attesa comune.

Le chiacchiere inessenziali alla vita (e alla loro giovinezza) di due donne perbene.

Una signora sopravvissuta al passato, quando indossare gli stivali era volgare.

Due ragazzi poco educati, non importa se innamorati.

La differenza dolorosa (nei giubbotti e nelle unghie) tra la gente del centro e quella di periferia.

L’uguaglianza concreta tra i poveri (italiani e stranieri).

Il piede nudo e storpio (per quale male?) del suonatore di fisarmonica in cerca di denaro.

Le borse trattenute con le mani dalle donne e le mani dietro la schiena degli uomini.

Il rapporto numerico tra capelli tinti e naturali.

Le storie che i trentadue passeggeri seduti e i ventisette in piedi nascondono sotto i vestiti.

...che poi le giornate si ricordano per come sono rifinite negli orli.

lunedì 16 gennaio 2012

Gemelli eterozigoti

Se non guarda il vuoto al posto della sua gamba, se non ne verifica l’assenza, niente glielo ricorda. [...] bisognerà correggere il programma, passare dalla modalità normale alla modalità “mutilato”.
[E. Carrère, Vite che non sono la mia, Einaudi 2011]

Con il nuovo anno gennaio è arrivato puntuale, freddo e lungo come di consueto, ma non troppo dissimile, a pensarci bene, dal suo gemello dicembre, lungo uguale, freddo sempre e altrettanto puntuale.

L’unica differenza un soffio chiamato anno.

E così restiamo a volte attoniti dalla diversità che li separa, quei due mesi gemelli in tutto, tranne che nell’origine prima, l’anno di nascita, quella che basta a farci dire che appunto un anno prima attendevamo una festa, eravamo felici (o incoscienti), credevamo agli oroscopi.
Come a dire che oggi è gemello di ieri in tutto tranne che nella consapevolezza di dover correggere il programma.

domenica 8 gennaio 2012

Cortesie per gli ospiti

L’uovo è oggi il nutrimento più a buon mercato. Ha la proprietà di essere maschile al singolare e femminile al plurale. Al venditore di uova potrei chiedere: “Mi dia il primo di quelle due uova”. Se poi volessi sapere il grado di freschezza delle uova, lo stesso venditore mi indicherebbe tre cartelli: “fresche”, “freschissime”, “da bere”; da cui risulta che le uova fresche sono le meno fresche.
[A. Buzzi, L’uovo alla kok, Adelphi 2002]

Si frequentano, per lavoro, piacere e caso, molte persone, anch’esse maschili e femminili, ma se volessi sapere il loro grado di vicinanza mi verrebbe risposto che si dividono in “parenti”, “amici”, “il prossimo”. Dal che si deduce che i parenti sono i meno prossimi.

domenica 1 gennaio 2012

Dies natalis

Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadab [...]. Davide generò Salomone [...]. Dopo la deportazione in Babilonia Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
[Matteo, 1,1-16]


Vorrei.
Che fossimo cauti e attenti, anche devoti un poco verso questo giorno natale che arriva, con tutti noi o senza alcuni di noi, ogni gennaio.

Che lo tenessimo un po’ in braccio, prima di lasciarlo scivolare nei giorni successivi.

Che rispettassimo le sue poche ore prima di caricarlo delle nostre speranze, troppo pesanti per un tempo così giovane.

Che ricordassimo che l’oggi natale sarà presente anche nei giorni di marzo o di maggio, quando tira il vento dei pensieri o il sole comincia a bruciarli.

Che la festa per l’oggi bambino non si consumasse stancamente fino a che noi invitati dimentichiamo il motivo della festa.

Che non ignorassimo mai che dal giorno natale festeggiato seguono anche i giorni che ci tolgono il respiro, perché i giorni non sono tutti uguali, come i baci e i dolori.

Che il sorriso natale di oggi diventasse naturale domani.