lunedì 30 settembre 2013

Domani

a Giorgio Caproni

Se sul treno ti siedi al contrario

con la testa girata di là

vedi meno la vita che viene

vedi meglio la vita che va.

FINE
[Vivian Lamarque, Poesie 1972-2002, Oscar Mondadori 2002]


Domani ti regalo
un pigiama per dormire e uno per restare.
Che poi è come andare a tuffarsi nel mare per imparare a nuotare.


lunedì 23 settembre 2013

Lavoro nero, anzi no


“Mi tieni il bambino?” disse Maria a Giuseppe, porgendogli un fagotto di stracci più pesante di quanto potesse lasciare immaginare la sola stoffa. E Giuseppe lo prese, per la prima volta, e lo tenne con imbarazzo (“non so se lo so fare”), poi più sicuro e stupito che essere utile potesse essere così piacevole.
[AA. VV., Quando le foglie attraversano la strada]

Se Maria e Giuseppe fossero diventati nonni, si sarebbe detto che l’avessero inventato loro, il lavoro nero.
Maria avrebbe cucito gli abiti di Figlio, nuora e nipoti e magari qualche volta avrebbe anche lavato per loro. La mattina avrebbe aspettato il più piccolo dei nipoti sulla soglia di casa, pronta a riceverlo dalle braccia della mamma in perenne ritardo nel suo lavoro. In estate avrebbe fatto conserve e passate per la stagione fredda e ne avrebbe regalato a quel Figlio, troppo indaffarato per trovare frutta e verdura adatte ai bambini. La domenica avrebbe cotto il pane per tutti e avrebbe smacchiato con pazienza una tonaca davvero inguardabile del Figlio, dopo una settimana di deserto.
Giuseppe avrebbe aggiustato la carriola del nipote più grande e avrebbe insegnato al piccolo ad avere rispetto delle formiche. Avrebbe portato ai poveri i vestiti dismessi e avrebbe custodito il segreto di quel giovane morto per strada, che lui solo aveva osato comporre in un sudario. Avrebbe raccolto la legna necessaria a Maria per cuocere e avrebbe cercato per lei i fichi più dolci. Quando i calzari del Figlio fossero stati troppo rovinati, Giuseppe avrebbe trovato un rimedio (le colle non avevano segreti per lui) per continuare a indossarli, evitando al Figlio l’accusa di sperperare denaro non suo.
Questo lavoro sommerso dal tempo e dalla fretta avrebbero fatto Maria e Giuseppe, proprio come due vecchi, innamorati del Figlio e delle promesse della vita.


domenica 26 maggio 2013

Normale, speciale


La certezza di essere poveri perché si è distaccati dalle cose o perché interiormente ci si sente liberi è una certezza umoristica. Qualunque psicologo, anche il meno esperto, consiglia di diffidare dei nostri sentimenti. I “mi pare di essere”, “sento di essere”, “credo di essere”, “io sono uno che”, sono espressioni che spesso denotano tutto il contrario di questo parere, sentire, credere. Quando uno non fa che ripetere di essere coraggioso, siate certi che muore di paura. Quando uno non fa che ripetere di essere distaccato dalle cose, di non avere interesse per ciò che ha e di cui gode, siate certi che alle cose è attaccato con strati di pece di prima qualità.
[A. Paoli, La pazienza del nulla, chiarelettere 2012]

“Come è andata la settimana?”, gli avevo chiesto non solo per cortesia, ma anche per sincero interesse. Era una persona gentile, alla quale non era difficile restituire l’attenzione che dedicava agli altri.
Mi aspettavo una risposta di quelle che non è un abuso definire prevedibili: “Bene, grazie”, oppure “Insomma, speravo meglio, meno male che è passata”, o ancora “Faticosa, non ne posso più”. Insomma, frasi così, nella logica di quella normalità, che attraversiamo ogni giorno e che scegliamo di sposare nelle mille parole (in)utili che usiamo per raccontarci.
Invece, senza guardarmi, con le mani concentrate sul lavoro e la voce sorridente, mi disse: “E' passata. Al di là di tutto, le posso dire solo che in genere tendo a non serbare rancore verso i giorni.”   
E in quel giorno (normale) ho inciampato nella libertà.

venerdì 3 maggio 2013

Cinque doppie vu


Era assessore ai Servizi Sociali, ma si dimise subito quando la giunta decise di costruire una centrale turbogas. Promettevano 264 posti di lavoro, hanno assunto 13 persone in tutto. Come sempre, aveva ragione lei.
[J. Meletti, in la Repubblica del 3 maggio 2013, pag. 18]

La protagonista è una persona (speciale), parlando della quale si riesce a raccontare la storia di altri (quindi è una vu multipla, e non capita a tutti di esserlo).

Si potrebbe dire che ha scelto di andarsene: forse si dovrebbe dire che ha preferito raggiungere qualcuno.

Ogni azione è in un tempo, questa è accaduta nella Storia.

Lontano da casa. Perché lasciare la casa è l’allenamento migliore per lasciare la vita.

Perché per il dolore prima non si trovano parole, poi non si trovano ragioni, infine non resta che il silenzio.

E questa, in breve, è la storia di una donna e del suo coraggio.

domenica 7 aprile 2013

Saccheggio


La propria vita privata non è mai un libro così come un sogno non è mai un quadro. Vivere non è scrivere, così come sognare non è dipingere o scolpire. Basta soffrire per essere un poeta? Basta vivere un grave lutto o una grave malattia per essere uno scrittore? O, ancora, più semplicemente, basta scrivere per generare scrittura? E quando il diario privato di un racconto biografico assume la dignità di un’opera? A mio giudizio solo quando la scrittura ha saputo trasfigurare il vissuto passionale più privato in una forma che attribuisce a quella esperienza singolare un valore universale [...].
[Massimo Recalcati, Una questione privata, in la Repubblica del 31 marzo 2013]


So bene che Recalcati voleva dire altro. Però...
Ricordo qualche titolo di libro, L’uovo alla kok, Il meglio che possa capitare a una brioche e il recentissimo Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia. Nulla che faccia pensare al racconto di un’esperienza o dolore privati, ma certo eco di un’attenzione al quotidiano (lessicale e concettuale) su cui affacciare la propria scienza e coscienza.
Ripenso ancora alla voce che vuole Goffredo Fofi mentore di un Saviano giovanissimo a cui consigliava, se avesse voluto continuare a scrivere, di cercare i soggetti osservando e raccontando la vita che scorreva sotto le sue finestre.
Il punto forse allora è questo: oggi le nostre vite, e non necessariamente private, si affacciano su una realtà piccola (nana), che non sa più di guerre e di paci, né di viceré o di moby dick.
E ormai da tempo non circolano e non si frequentano più né i vecchi e i mari, i doni della vita o le cognizioni dei dolori.
Non possiamo accettare (invocare) la trasformazione digitale e poi non immaginare che sia in atto anche un cambiamento estetico ed etico (del canone occidentale?) della scrittura (e della lettura).
Un giorno forse (è quasi certo) si parlerà di questi tempi come di un medioevo (buio) della produzione letteraria. Ma ora ci siamo immersi e poco si vede ("Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, le cose [...]Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto”).
Nel frattempo saccheggiamo ciò che incontriamo sulle nostre strade (che magari sono solo cortili).
E’ andata così.
            

venerdì 29 marzo 2013

Fare a meno


Io non ho incontrato tipi umani, ma persone. Se lo studioso generalizza, l’artista invece cerca l’individuo e la sua irripetibilità.
(Jules Renard)

Si può fare a meno di tutto.
Non del silenzio necessario per accorgersi della bellezza e della sofferenza per la sua assenza.


domenica 3 marzo 2013

Cambio di stagione


Io sono un albero spogliante. A differenza del mio fratello cipresso, che resta sempre verde, io invece perdo le foglie. Io sono il cipresso del nord e, come gli alberi nordici, conosco le vicende alterne delle stagioni.
[A. Zarri, Quasi una preghiera, Einaudi 2012]


Non si creda
poco faticoso chiudere la porta.
L’ombra del giorno
non è al mattino,
e mai insieme.
Neppure (la speranza di)
ritrovare la chiave
cancella le parole
che l’hanno nascosta.
Non si dubiti
che sottrarre
è  uccidere.

martedì 12 febbraio 2013

Tempi


Il lattaio scrisse un biglietto: “Oggi non c’è più burro, purtroppo”.
La signora Blum lesse il biglietto e fece i conti, scosse la testa e rifece i conti, poi scrisse: “Due litri, 100 grammi di burro, ieri lei non aveva il burro e me l’ha messo ugualmente in conto”.
Il giorno dopo il lattaio scrisse: “Scusi”.
[P. Bichsel, In fondo alla signora Blum piacerebbe conoscere il lattaio, Marcos y Marcos 1991]

Nel mio quartiere hanno aperto due punti vendita che non vendono nulla e tanto meno si scusano.
Sull’insegna non compare il nome di un’attività (“Lavanderia”), di un mestiere magari raffinato dall’importazione (“Coiffeur”) o anche di un commerciante che ha sposato la sua merce (“da Gino: la primizia che delizia”).
Se pure non ci fosse odore di affari loschi, se ne dovrebbe pensare molto male per il solo fatto che una scritta senza pudore li chiama “compro oro”, dando spazio a una prima persona singolare che non è sinonimo d’altro se non d’egoismo. Sempre. Non c’è esercizio commerciale serio che possa denunciare così sfacciatamente il suo maggiore limite.
Niente a che fare questi negozi con oreficerie e gioiellerie, dove si vendono preziosi a tutti coloro che certo hanno denaro, ma soprattutto amori e speriamo qualche sogno.
No, i compratori non condividono nulla di tutto questo.
Comprando, lo fanno da chi ad amori e sogni (e anche ai loro ricordi) ha dovuto rinunciare e forse da chi ha rubato i sogni di qualcun altro.
Ci sono verbi, prima ancora che persone, che affossano l’economia (e la vita), più che farla girare.
  
  

mercoledì 16 gennaio 2013

Esercizi di stile


Già il fatto che esistano parole (gli aggettivi e i nomi) che cambiano taglia e stato (comparativi o superativi, alterati e vezzeggiativi, tanto per dire) rende simpatica una lingua, che non sta chiusa in un armadio, ma si adatta alle stagioni della vita. 
Gli inediti semantico-grammaticali, poi, aiutano a trovare le parole per dirla.

Indifferente è il comparativo di discreto.

Intristito è il derivato di fiducioso.

Stronzo il superlativo di corretto.

domenica 6 gennaio 2013

Resistenza e resa


Carta e penna sono di uso generale e, così si crede, la lingua italiana, il cui vocabolario fra l’altro va sempre più comodamente riducendosi. Quindi il tassista come il cardiologo, il commercialista come il portiere prima o poi un romanzo rischiano di scriverlo. [...] L’unica modesta proposta che ho avuto occasione di fare per arginare l’ondata è il razionamento della carta: tot carta pro capite, e deve bastare per tutta la vita.
[G. Cherchi, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli 1997]

Va bene, ci ho provato.
Nel dubbio ho tolto, agendo in osservanza della “legge Fruttero”, che non a caso è l’autore citato nell’ultimo blog dell’anno scorso, e nel rispetto del "comandamento Cherchi”, che è stata e resta un riferimento morale, prima ancora che letterario.
Ho provato il silenzio, l’ho cercato anzi, (an)negando le parole.
Una specie di dichiarazione di voto per il futuro, insomma, o di vita, fate voi.
Non è che non abbia funzionato, anzi. Ma, poi... mi è sembrato di capire che il silenzio del mare ha bisogno di voce e scrittura perché sia silenzio vero, vera resistenza ai tempi infelici.
Riproviamo.