Vi porgo una piccola guida allo stream of consciouness, al monologo interiore, scrigno che racchiude quelle impressioni che, sciolte dopo l’ibernazione, possono, ancora una volta, dare calore.
[R. Pucci di Benisichi, Guida alla felicità minore, Sellerio 2013]
Di questi tempi si parla tanto di elenchi. Li si scambia, ci si gioca tra amici, se ne propongono di incredibili e curiosi. Qualcuno si vuole intellettuale, come se bastasse questa paratassi della fotografia dell’esistenza a darci la misura dell’intelletto nostro e altrui.
Fatto sta, comunque, che gli elenchi restano qualcosa di assolutamente privato, perché uno elenca, in fondo, solo se stesso nelle diverse variabili dei tempi e delle occasioni della vita.
Forse ci sarebbe bisogno di qualcosa di più generoso (una volta si sarebbe detto politico), qualcosa che faccia capire che ci si accorge degli altri anche in questo nostro quotidiano matto e disperatissimo.
Per esempio che si contino le auto ferme in sosta accanto a noi e si osservino e descrivano le facce dei guidatori in attesa di raggiungere il posto di lavoro, restando fermi. O che si contino i genitori in attesa davanti a una scuola materna mentre aspettano che si aprano i cancelli: si prenda nota degli argomenti delle conversazioni, dei vestiti firmati e di quelli da mercato indossati, delle mani curate e di quelle screpolate, dei papà in cravatta e delle mamme con il velo, dei fratellini in carrozzina e dei nonni trepidanti. O, ancora, che si mettano ben bene in fila le facce di chi è in attesa all’Inps, davanti allo sportello della disoccupazione.
Se non si riesce a cambiare, almeno questa vita la si fotografi e la si cataloghi non per i suoi e i nostri dispiaceri o piaceri, ma nei suoi momenti di pausa, quando tutta l’umanità per le più diverse ragioni è ferma, in coda per qualcosa. Quando non sta succedendo un bel niente, perché tutto quello che accade sta nascosto nei silenzi e negli sguardi. Magari, chissà, si scopre che i momenti considerati più inutili ci aiutano a fare la rivoluzione...
Questo è il mio album di figurine di oggi, per esempio, in coda in una sala d’aspetto d’ospedale.
1) la faccia del signore vecchissimo e malatissimo entrato su
una sedia a rotelle: avrà mai avuto diciotto anni?
2) la mano forte, anche senza due falangi del dito indice della
destra, dell’uomo che l’ha aiutato ad alzarsi dalla suddetta
sedia: si fa a meno di tutto, fuorché degli occhi per vedere che
c’è sempre qualcuno che ha più bisogno di noi;
3) le unghie laccate rougenoir dell’infermiera all’accettazione:
forse portare addosso un po’ di estate a marzo l’aiutava a essere
gentile;
4) il sorriso un po’ statico di una suora alla vista di una giovane
madre che allattava al seno un bambino: si sarà chiesta che
cosa si è persa?
5) il numero spropositato di anziani rispetto ai giovani: di quante
e quali malattie saranno stati portatori consapevoli?
6) i foulard al collo delle donne in attesa: sarà stato il primo che
avevano a portata di mano stamattina?
7) il trucco e la mise perfetti di una mamma con intera famiglia al
seguito: ma quanto avrà impiegato a prepararsi? E gli altri? Ma
avranno due bagni?
8) gli sguardi persi molto nel vuoto di alcuni: chi avrà conosciuto i
nomi e il senso degli esami prescritti?
9) assenza più acuta presenza, dice il poeta: che cosa staranno
facendo i figli e i nipoti di chi è qui ora?
10) i giornali in omaggio abbandonati sui tavolini, un solo
Corriere arrotolato sotto un braccio, un Espresso trasformato
in un porta-ricette, nessuno in lettura: perché dovrebbero
leggere proprio qui, orfani della televisione che li accompagna
sempre, soprattutto da malati?