come donna statale (non pubblica però perché, certo, lei capirà, non è proprio lo stesso) dipendente di quel ministero femminilizzato che lei chiama “ammortizzatore sociale”, con un sussulto di orgoglio e finalmente sollevata dalla vergogna della colpa grazie alla sua imperiosa opera di moralizzazione, mi sento in dovere di confessare le negligenze in cui mi crogiolo da anni e che hanno portato danno e detrimento alle finanze italiane.
Dunque ammetto:
- di avere sfogliato un giornale o letto libri durante le ore di compito in classe;
- di avere interrotto la correzione dei compiti per organizzare la cena;
- di avere permesso ad amici e parenti di disturbare la preparazione delle lezioni la sera con telefonate o visite non annunciate;
- di avere condiviso con il marito l’uso del computer di famiglia che mi serve per la preparazione di compiti e materiali di supporto alla didattica;
- di aver concesso possibilità di colloquio a studenti e genitori ogni volta che l’abbiano richiesto e non nella sola ora settimanale convenuta (aggirando così i regolamenti interni);
- di essermi presa delle pause pranzo di dieci minuti (quando in effetti per mangiare una banana ne basterebbero meno della metà);
- di avere sognato qualche domenica libera dai compiti da correggere senza capire l’importanza della formazione permanente;
- di aver accompagnato a mie spese gli studenti a teatri e musei (a conferma del carattere part-time del mio lavoro che mi permette di assistere agli spettacoli di pomeriggio quando tutti sono impegnati a lavorare seriamente);
- di avere raccontato favole ai miei bambini la sera tardi, quando avrei dovuto approfittare per studiare e migliorare il mio insegnamento;
- di avere desiderato le vacanze (tutte, ma proprio tutte, natalizie, pasquali, estive).
Confidando nella clemenza che l’ammissione della colpa ha sempre prodotto sin dai tempi dell’Inquisizione, voglia gradire i miei più sofferenti e pentiti saluti.
- di avere interrotto la correzione dei compiti per organizzare la cena;
- di avere permesso ad amici e parenti di disturbare la preparazione delle lezioni la sera con telefonate o visite non annunciate;
- di avere condiviso con il marito l’uso del computer di famiglia che mi serve per la preparazione di compiti e materiali di supporto alla didattica;
- di aver concesso possibilità di colloquio a studenti e genitori ogni volta che l’abbiano richiesto e non nella sola ora settimanale convenuta (aggirando così i regolamenti interni);
- di essermi presa delle pause pranzo di dieci minuti (quando in effetti per mangiare una banana ne basterebbero meno della metà);
- di avere sognato qualche domenica libera dai compiti da correggere senza capire l’importanza della formazione permanente;
- di aver accompagnato a mie spese gli studenti a teatri e musei (a conferma del carattere part-time del mio lavoro che mi permette di assistere agli spettacoli di pomeriggio quando tutti sono impegnati a lavorare seriamente);
- di avere raccontato favole ai miei bambini la sera tardi, quando avrei dovuto approfittare per studiare e migliorare il mio insegnamento;
- di avere desiderato le vacanze (tutte, ma proprio tutte, natalizie, pasquali, estive).
Confidando nella clemenza che l’ammissione della colpa ha sempre prodotto sin dai tempi dell’Inquisizione, voglia gradire i miei più sofferenti e pentiti saluti.
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