E in quel momento
Jane Houlton era felice davvero. Mentre si muoveva appena dentro il suo bel
cappotto nero, pensava che dopotutto la vita fosse un dono, che uno dei pregi
dell’invecchiare fosse la consapevolezza che molti momenti non erano solo
momenti, ma doni.
[Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, Fazi editore 2009]
“E’ un bellissimo color fango, mi creda: assolutamente
portabile”, mi suggeriva (o forse suggestionava) la commessa prendendo la borsa
che le avevo indicato in vetrina.
Poco prima l’avevo vista esposta: geometrica, elegante, funzionale. Di un colore... grigio-verde, avrebbe detto mia nonna, come gli occhi
dello zio Giuseppe (la nonna non mancava mai di associare l’inusuale al quotidiano,
per non perdere in nessuna occasione il senso della misura, credo). Questo, però, non l’ho
detto (bisogna andarci piano con i colori e con i parenti).
E la signora se ne esce con questa affermazione, che il colore del
fango è bellissimo e si abbina con tutto.
Come bellissimo? Quando per caso sprofondi in una pozzanghera
non pensi certo che il colore del fango è adatto a ciò che indossi e tanto meno
lo consideri accattivante come un accessorio alla moda. Mi viene il dubbio che anche
la materia (e la pazienza delle madri di figli maschi, di solito
professionalmente infangati) si sia arresa al mercato.
Dopo avere imparato la lezione delle magliette limone, delle
calze antracite (e, come nipote di carbonaio, ammetto di esserne un po’
inorgoglita) e dei pantaloni mirtillo, ho acquistato la sicurezza necessaria
per sfidare la richiesta di una cintura (marrone) che ho definito castagna.
“Vuole quella? Quella moka, giusto?”, mi ha chiesto con
sorpresa la giovane esperta di cromarketing.
“Sì, certo quella”, mi sono subito corretta, maledicendo la
mia colpevole intolleranza al caffè.
Giuro che gli anni che mi restano li impiego meglio e studio
la questione: non sia mai che qualcuno mi dica che stiamo attraversando uno
splendido periodo cantina e io non capisca che è solo un momento nerissimo.