Il degrado del linguaggio non è un problema di parole, ma deriva da un comportamento pratico, cioè dall’esempio. Mi colpisce il fatto che dell’esempio non si parla mai, anzi non esiste come categoria di giudizio del proprio e dell’altrui comportamento: eppure sappiamo che tutto viene da lì.
L’esempio non nasce dalle prediche, ma dalla vita, quella che si svolge nelle scuole, negli ospedali, negli eserciti, ovunque si stia insieme.
[V. Foa, F. Montevecchi, Le parole della politica, Einaudi 2008]
Per Chiara e i suoi sogni. Per la sua voglia di studiare la storia e di non fare i gelati. Per i primi biscotti che mi ha regalato e i quiz della patente preparati sul divano. Per quando si è sentita una principessa rimbalzosa e si è finalmente addormentata.
Per Arianna e le sue scarpe scozzesi e il suo sorriso così profondo che non riesce ad arrivare in superficie. Per la sua famiglia e la sua mamma di cui un giorno racconterà la storia perché le parole non le hanno mai fatto paura e stanno solo aspettando di scendere alla fermata giusta.
Per Francesca e la sua voglia di spiegare l’arte. Per gli errori di ortografia che sono la sua passione insieme ai brillocchi e perché sa asciugare il pavimento.
Per Dino e il suo liceo avventuroso e gioioso che faceva arrabbiare i benpensanti e i deboli di cuore. Per un tema e una dedica. Per la tenerezza verso il suo amore che è la più dolce e la più bella.
Per Alessandra e la paura di rimanere sola. Per i funghi del suo papà che sanno di mani e di bosco. Per i suoi regali di Natale, protettivi e caldi come quelli di una figlia adulta.
Per Camilla e la sua testa china nel prendere gli appunti durante le lezioni di letteratura. Per le sue risposte belle e sapienti che io non avrei saputo dare. Per quello che non ha mai voluto dire.
Per Ilaria, per la sua rabbia e i suoi occhiacci di fuoco. Per il suo pianto senza lacrime. Per la sua intelligenza al limone. Per la facoltà che ha scelto e le crespelle che sanno di mamma e di Natale.
Per Claudia che c’è da lontano. Per quando gli occhi le si accendono di vita, lei che pensa troppo e qualche volta si chiude in un guscio di nostalgia.
Per Andrea e Chiara, insieme contro le tristezze.
Per Cristina, che tanti anni fa mi ha regalato “La fabbrica di cioccolato” e si è firmata ‘Cristina la pazza’. Per i suoi capelli che rimarranno crespi come i suoi pensieri, lo so.
Per Francesca, zitta e pensierosa. Per la sua lotta contro quello per il quale gli altri lottano, ma sempre in silenzio per non disturbare il mondo.
Per Nicola e il suo parlare lento, il suo ragionare misurato come quando traduceva le frasi di latino. Per i suoi pesci che gli spiegano perché e dove.
Per Laura, per una telefonata lunga due ore e una finestra di troppo. Per i libri della riconciliazione.
Per Andrea e i Persiani. Perché adesso è grande ma lo è sempre stato.
Per Stefano e le telefonate stupide. Per la sua mamma.
Per Randa, per quando era un uovo. Per la corrispondenza d’amorosi sensi. Per le idee che non ha ancora avuto e le parole che ha già.
Per Sara ubriaca tutte le sere e le telefonate al mattino per svegliarla. Per un sms e un concerto punk.
Per Serena che lo è anche di fatto. Per il suo Alessandro Magno, amore per sempre, e per i suoi temi senza tormento eppure bellissimi.
Per Linda che tormentata lo è sempre stata. Per la sua grafia veloce e oscura e la sua scrittura sconfinata. Per i suoi non so e per un libro di Simenon.
Per Simone e le sue vecchiette che stanno diventando bambini. Per quel giorno alla stazione di Como.
Per Vera e il suo pensiero sulle farfalle.
"fabbricare, fabbricare, fabbricare / preferisco il rumore del mare / che dice fabbricare fare e disfare / fare e disfare è tutto un lavorare / ecco quello che so fare. scrivete. addio" (D. Campana, Cartolina postale del 13 ottobre 1916, in S. Aleramo, D. Campana, Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1918, Feltrinelli, Milano 2000, p. 72)
martedì 8 aprile 2008
martedì 1 aprile 2008
Fuoco, fuochino,fuoco
Prometeo Dal fissare il destin distolsi gli uomini.
Coro Quale farmaco a tal morbo trovasti?
Prometeo Nei loro petti albergai cieche speranze.
Coro Gran beneficio fu questo per gli uomini.
Prometeo Ed oltre a questo, il fuoco a lor donai
Coro Il fuoco, occhio di fiamma, ora posseggono?
Prometeo E molte arti dal fuoco apprenderanno
[Eschilo, Prometeo legato, in Tragedie, trad. di E. Romagnoli, Zanichelli 1921]
Sono andata a rileggermi il mito di Prometeo.
Non potevo farne a meno dopo aver sentito per caso la presentazione del libro di Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, appena uscito per i tipi Mondadori.
È stato un conforto sentire una psicanalista presente raccontare con molta tranquillità quanto sia importante “mantenere” accesa una dose quotidiana di infelicità, garanzia di fecondità creativa e prova di vita vera.
Il pensiero è volato alle ripetute, quotidiane invocazioni al diritto alla felicità, occasioni più che altro sfruttate da case farmaceutiche, medici, politici, e imprenditori (in disordine di importanza).
E poi è arrivata la citazione su Prometeo, che ruba il fuoco a Zeus e lo dà ai mortali.
Zeus lo considera un furto, gli uomini un dono.
Prometeo non si schermisce e sa di aver rubato e offerto qualcosa che è garanzia di una vita illuminata (non solo in senso letterale). Il derubato e i donati, d’altro canto, non hanno mai pensato di avere perso o guadagnato una piccola cosa. Il fuoco è fuoco per tutti i protagonisti della vicenda. Nessuna alterazione del nome – fuochino - o dell’idea – piccola perdita o minimo progresso -.
Tutti, insomma, riconoscono al ladro-benefattore l’onore delle armi nell’uso del nome primitivo, fuoco, che trascina con sé grave offesa o benefici luminosi.
Dalla sua punizione, l’eroe stesso impara che i nomi sono cose che costano la rabbia furiosa e vendicativa di qualcuno, o gratificano con il ricordo imperituro degli altri.
Chi sa e vuole condurre gli altri al sapere, insomma, affronta e impone la nuda verità del nome, non lo mitiga e non lo esalta.
Per molte ragioni quello di Prometeo può sembrare un atto politico e fu politica, certo, la consapevolezza dell’atto, se non altro perchè politica è ogni azione che porti a una maggiore coscienza di chi si è e di ciò che si intende fare per gli altri (il fare per sé non è politico, dato che la politica è, si direbbe a scuola, uno dei tanti pluralia tantum, nomi soltanto e idealmente plurali).
Politica è, dunque, anche la sobrietà, linguistica prima di tutto,che dovrebbe alimentare i nostri giorni, luoghi sempre più abusati di eccessi o riduzionismi, spie della dissimulazione e della presunta felicità. Da guarire con pastigliette, aiutini e spintarelle.
Coro Quale farmaco a tal morbo trovasti?
Prometeo Nei loro petti albergai cieche speranze.
Coro Gran beneficio fu questo per gli uomini.
Prometeo Ed oltre a questo, il fuoco a lor donai
Coro Il fuoco, occhio di fiamma, ora posseggono?
Prometeo E molte arti dal fuoco apprenderanno
[Eschilo, Prometeo legato, in Tragedie, trad. di E. Romagnoli, Zanichelli 1921]
Sono andata a rileggermi il mito di Prometeo.
Non potevo farne a meno dopo aver sentito per caso la presentazione del libro di Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, appena uscito per i tipi Mondadori.
È stato un conforto sentire una psicanalista presente raccontare con molta tranquillità quanto sia importante “mantenere” accesa una dose quotidiana di infelicità, garanzia di fecondità creativa e prova di vita vera.
Il pensiero è volato alle ripetute, quotidiane invocazioni al diritto alla felicità, occasioni più che altro sfruttate da case farmaceutiche, medici, politici, e imprenditori (in disordine di importanza).
E poi è arrivata la citazione su Prometeo, che ruba il fuoco a Zeus e lo dà ai mortali.
Zeus lo considera un furto, gli uomini un dono.
Prometeo non si schermisce e sa di aver rubato e offerto qualcosa che è garanzia di una vita illuminata (non solo in senso letterale). Il derubato e i donati, d’altro canto, non hanno mai pensato di avere perso o guadagnato una piccola cosa. Il fuoco è fuoco per tutti i protagonisti della vicenda. Nessuna alterazione del nome – fuochino - o dell’idea – piccola perdita o minimo progresso -.
Tutti, insomma, riconoscono al ladro-benefattore l’onore delle armi nell’uso del nome primitivo, fuoco, che trascina con sé grave offesa o benefici luminosi.
Dalla sua punizione, l’eroe stesso impara che i nomi sono cose che costano la rabbia furiosa e vendicativa di qualcuno, o gratificano con il ricordo imperituro degli altri.
Chi sa e vuole condurre gli altri al sapere, insomma, affronta e impone la nuda verità del nome, non lo mitiga e non lo esalta.
Per molte ragioni quello di Prometeo può sembrare un atto politico e fu politica, certo, la consapevolezza dell’atto, se non altro perchè politica è ogni azione che porti a una maggiore coscienza di chi si è e di ciò che si intende fare per gli altri (il fare per sé non è politico, dato che la politica è, si direbbe a scuola, uno dei tanti pluralia tantum, nomi soltanto e idealmente plurali).
Politica è, dunque, anche la sobrietà, linguistica prima di tutto,che dovrebbe alimentare i nostri giorni, luoghi sempre più abusati di eccessi o riduzionismi, spie della dissimulazione e della presunta felicità. Da guarire con pastigliette, aiutini e spintarelle.