Prometeo Dal fissare il destin distolsi gli uomini.
Coro Quale farmaco a tal morbo trovasti?
Prometeo Nei loro petti albergai cieche speranze.
Coro Gran beneficio fu questo per gli uomini.
Prometeo Ed oltre a questo, il fuoco a lor donai
Coro Il fuoco, occhio di fiamma, ora posseggono?
Prometeo E molte arti dal fuoco apprenderanno
[Eschilo, Prometeo legato, in Tragedie, trad. di E. Romagnoli, Zanichelli 1921]
Sono andata a rileggermi il mito di Prometeo.
Non potevo farne a meno dopo aver sentito per caso la presentazione del libro di Massimo Recalcati, “Elogio dell’inconscio”, appena uscito per i tipi Mondadori.
È stato un conforto sentire una psicanalista presente raccontare con molta tranquillità quanto sia importante “mantenere” accesa una dose quotidiana di infelicità, garanzia di fecondità creativa e prova di vita vera.
Il pensiero è volato alle ripetute, quotidiane invocazioni al diritto alla felicità, occasioni più che altro sfruttate da case farmaceutiche, medici, politici, e imprenditori (in disordine di importanza).
E poi è arrivata la citazione su Prometeo, che ruba il fuoco a Zeus e lo dà ai mortali.
Zeus lo considera un furto, gli uomini un dono.
Prometeo non si schermisce e sa di aver rubato e offerto qualcosa che è garanzia di una vita illuminata (non solo in senso letterale). Il derubato e i donati, d’altro canto, non hanno mai pensato di avere perso o guadagnato una piccola cosa. Il fuoco è fuoco per tutti i protagonisti della vicenda. Nessuna alterazione del nome – fuochino - o dell’idea – piccola perdita o minimo progresso -.
Tutti, insomma, riconoscono al ladro-benefattore l’onore delle armi nell’uso del nome primitivo, fuoco, che trascina con sé grave offesa o benefici luminosi.
Dalla sua punizione, l’eroe stesso impara che i nomi sono cose che costano la rabbia furiosa e vendicativa di qualcuno, o gratificano con il ricordo imperituro degli altri.
Chi sa e vuole condurre gli altri al sapere, insomma, affronta e impone la nuda verità del nome, non lo mitiga e non lo esalta.
Per molte ragioni quello di Prometeo può sembrare un atto politico e fu politica, certo, la consapevolezza dell’atto, se non altro perchè politica è ogni azione che porti a una maggiore coscienza di chi si è e di ciò che si intende fare per gli altri (il fare per sé non è politico, dato che la politica è, si direbbe a scuola, uno dei tanti pluralia tantum, nomi soltanto e idealmente plurali).
Politica è, dunque, anche la sobrietà, linguistica prima di tutto,che dovrebbe alimentare i nostri giorni, luoghi sempre più abusati di eccessi o riduzionismi, spie della dissimulazione e della presunta felicità. Da guarire con pastigliette, aiutini e spintarelle.
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