lunedì 12 gennaio 2009

Moschiese

Ai cristiani, ai musulmani e ai laici di buona volontà la storia fornisce il modello di tempi nei quali la convivenza era non solo possibile, ma franca e cordiale: dall’impero mongolo alla Spagna due-quattrocentesca al sultano moghul di al-Akbar in India. Ma i modelli storici restano lettera morta, se non si afferma la volontà di seguirne i suggerimenti, di far vivere il seme che essi hanno piantato affinché fruttificasse.
[Franco Cardini, dalla postfazione di M. Jevolella, Non nominare il nome di Allah invano, Il Corano libro di pace, Boroli Editore 2004]

Amleto, forse lei se lo ricorda, era persuaso della vanità delle «parole» che non coinvolgessero tutte le persone. Il mio parroco si è lamentato con la mia figliola di dire cose non molto diverse da quelle che dico io; ma che nessuno lo ascoltava come invece ascoltano me. 
Aspetto l’occasione per dirgli: caro monsignore, «si duo dicunt idem non est idem».
La Chiesa ha sempre trascurato il problema della predicazione creando addirittura dei retori di mestiere capaci di rendere falso lo stesso Vangelo.
Questo è uno dei problemi fondamentali del falso di tutte le società che credono di poter investire di funzioni sacrali o comunque di comando o di educazione uomini assolutamente insufficienti.
(Biagio Marin, Fame di Dio, Lettere e ricordi, La Locusta)

Quando negli anni Settanta gruppi di studenti cattolici di tutta Italia chiedevano nelle scuole superiori statali uno spazio per pregare prima dell’inizio delle lezioni e un po’ ovunque il laboratorio di chimica, l’aula del ricevimento parenti, l’auditorium o la palestra diventavano chiese per caso e per poco, nessuno lo impedì.
Ci furono dibattiti, certo, ma quegli spazi pubblici diventarono dappertutto santuari a tempo dove risuonavano salmi e brani di vangelo.
Quando, a partire dagli stessi anni, uomini e donne testimoni di Geova suonavano ai citofoni di privati cittadini, gli interpellati dalle loro case rispondevano in malo modo e spesso li insultavano per averli disturbati magari in una tranquilla domenica mattina in famiglia.
Oggi continuano ad accadere entrambe le cose. E spesso chi fa l’una pratica con convinzione anche l’altra.
Oggi poi accade, sempre più spesso, che donne e uomini famosi si dichiarino buddisti e siano amati e vezzeggiati anche per questo.
Oggi però altri cercano un luogo dove pregare e non lo ottengono. A volte lo fanno sui marciapiedi, luoghi appunto deputati ai piedi che marciano velocemente verso gli eccessi quotidiani e quindi mal sopportano le ginocchia ferme di chi si china davanti al suo dio. Qualche volta le piazze pubbliche si riempiono dei senza casa, la propria o del proprio dio, ma di solito si tolgono panchine agli uni e si chiedono scuse agli altri.
Si può fare di meglio, coraggio.
Aspettiamo citofoni predisposti solo per risposte cortesi e moschiese dove dio si chiama solo dio e i suoi fedeli tutti e solo “noi”.

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