lunedì 12 dicembre 2011

Natalitudine

Cerco di radicarmi in me, dipendo puntigliosamente dall’esterno, da persone e cose che non riescono a garantirmi sicurezze. Così la casa si fa radice vistosa e assorbente [...] lavori pesanti non ne faccio più; ma restano tantissimi piccoli gesti – [...] dividere il bianco dal colore prima di mettere i panni in lavatrice, attaccare i bottoni, comprare il concime per le piante, sostituire il rotolo finito di carta igienica con quello nuovo [...] grattugiare il parmigiano – e senza questi gesti non si sopravvive, io non sopravvivo.
[C. Sereni, Casalinghitudine, Einaudi 1987]


Guardo la data di pubblicazione di questo libro, 1987, e ripenso a quando l’ho comprato, poco dopo la sua comparsa in libreria dove lavoravo “a evento”- per la scolastica e il natale -, a come l’ho letto e a quanto ha influenzato non tanto la mia vita, ma la mia predisposizione a immaginarla.

Quasi laureata, appena sfidanzata, già insegnante part-time, giornalista a richiesta, piena di speranze e di progetti insomma, nessuna intenzione di accontentarsi delle piccole cose.

Eppure quel libro conteneva già tutto quello che sarebbe diventato parte di me: l’attrazione fatale per il tema della maternità, difficile possibilmente (pochi anni dopo recuperai un volumetto raro dal titolo profetico Mi riguarda, in cui la Sereni con Pontiggia, Flaiano e altre anime belle della cultura italiana si interrogavano sull’essere genitori disabili), l’interesse per la cucina come gioco e cuore, il bisogno disperato di fare casa ovunque si stia (per poter dire “ritorno”), l’emozione di scoprire che il quotidiano è degno di scrittura.

Mi piacque perché era concretamente lontano eppure inspiegabilmente vicino.
E poi c’era quella cosa della carta igienica da sostituire, detta in quel modo che rappresentava una scoperta e una gioia. Come a dire che anch’io, nipote di un carbonaio potevo raccontare i giorni. Se Leopardi aveva sdoganato le galline in su la via, anche la carta igienica poteva diventare oggetto di riflessione metafisica (perché la necessità fisica della suddetta nessuno la metteva in discussione).

Da allora, con intermittente frequenza (ogni volta che conosco qualcuno o inizio a frequentare per amicizia o lavoro luoghi nuovi) uno dei miei interessi è immaginare e indovinare chi è l’addetto alla sostituzione del rotolo della carta igienica: se lo fa chi capita, se sono gli adulti di casa a turno, se è sempre la moglie-madre, se i maschi si accorgono della prossima fine del vecchio rotolo. É, per esempio, molto interessante notare che nei luoghi pubblici manca regolarmente e, infatti, il più delle volte sono l’emblema della trascuratezza e della sporcizia. Chi la sostituisce nei luoghi di lavoro lo fa in genere senza affetto, lo si capisce per via del fatto che spesso bisogna segnalarne l’assenza ogni volta a una persona diversa (a seconda del turno).

A volte mi diverto a trovare nella vita di ogni giorno gesti simbolicamente simili: ristampare una copia dell’ultimo modulo che sto prelevando, riempire la zuccheriera che pure non uso, togliere la frutta dal frigorifero in estate o dal balcone in inverno perché non sia troppo fredda per il pasto.

Eppure niente è più vicino allo spirito del Natale della sostituzione del rotolo di carta igienica.

2 commenti:

Green Apple ha detto...

"Eppure niente è più vicino allo spirito del Natale della sostituzione del rotolo di carta igienica."

Da questo momento ho fatto mio il finale di questo post e aleggerà nella mia mente per tutto il periodo Natalizio, pre e post!

Un grande abbraccio

Valentina

Giulia_dilib ha detto...

Concordo con Valentina sulla massima. Mi mancava leggerti, oggi sto recuperando un po'.
A presto (un presto che dipende dal temibile esame, come sai, ma confido sulla seconda metà di gennaio.)
Un abbraccio pieno di sole.

p.s. ma se lo si cambia a turno, il rotolo?