martedì 6 dicembre 2011

Spero, promitto e iuro senza futuro

Nell’operare politico, nel procurare di conseguire un determinato fine, tutto diventa mezzo di politica, tutto, non escluse in certa guisa la moralità e la religione, ossia le idee, i sentimenti e gl’istituti morali e religiosi. La situazione iniziale è data caso per caso: gli uomini coi quali si ha da fare, sono inizialmente quello che sono; i loro concetti, i loro preconcetti, le loro buone o cattive disposizioni, le loro virtù e i loro difetti porgono il materiale sul quale e col quale bisogna operare, e non c’è modo di commutarlo con altro che piaccia meglio. Se bisognerà, per accordarsi con essi in una comune azione, per muoverli al consenso, carezzare le loro illusioni, lusingare la loro vanità, fare appello alle loro credenze più superstiziose e più puerili, per esempio il miracolo di san Gennaro, o ai loro concetti più superficiali o più superficialmente intesi, per esempio l’eguaglianza, libertà e fraternità [...] converrà adoperare questi mezzi.
[B. Croce, Elementi di politica, RCS 2011]

È l’imposta straordinaria patrimoniale un congegno meglio adatto di una imposta straordinaria sul reddito a fornire allo stato il provento monetario, una volta tanto, necessario a far fronte alle spese straordinarie del momento presente? La risposta parmi sicura: nella sostanza no; nell’impressione psicologica sui contribuenti può darsi .
[L. Einaudi, L’imposta patrimoniale, chiarelettere 2011]


Garbatamente provocata, torno a rileggere qualche pagina di Croce ed Einaudi. La mia conoscenza dei loro testi è meno che minima e la mia comprensione del loro pensiero è, se possibile, ancora più scarsa. Certo avrei potuto scegliere altri filosofi e politici di posizione politica più affine, ma la percezione non sarebbe cambiata.

Scuote, infatti, la barbara trascuratezza nei confronti del genio sprigionato dalle loro parole, la profondità della loro energia intellettuale e, mi si perdoni, la potente inattualità delle loro teorie.

Non tanto perché il tempo è passato ancora una volta invano e ancora una volta la storia non è stata magistra di nulla, ma perché oggi più che mai si può solo denunciare l’assenza, o meglio, la morte dell’idea politica ed economica che dovrebbe informare di sé ogni scelta personale e collettiva. La progressiva e mirata trasformazione dei cittadini in consumatori e dei politici loro rappresentanti in dirigenti dei punti vendita delle risposte immediate ai pruriti del quotidiano (che loro stessi solleticano), non lascia spazio al futuro.

Non stupisce che l’ultimo passaggio (l’ultimo?) ci scopra precari e poveri, incapaci soprattutto (solo?) di acquistare.

Perché di pensare abbiamo smesso da tempo e nessuno se ne è lamentato.

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