Al numero 1 di viale libertà c’è una vecchia villa un tempo abitata – inventata? - da una altrettanto vecchia signora, minuta e silenziosa che amava osservare la gente e allevare galline. Non disdegnava i conigli ma sapeva solo cucinarli e da vivi non le sembravano molto interessanti. Ogni tanto ospitava amici e parenti, di solito vecchi e originali quanto lei. Per un certo periodo comparve una cugina di città, altrettanto piccola di statura ma senza uno spigolo in vista, generosa di parole e golosa come una bambina.
L’ ospite più frequente, però, quasi un secondo proprietario fu un anziano reduce, mite e buono. Come il cibo che sfama dopo lungo digiuno, come oggi quasi nessuno, come il bacio del ritorno. Non sembrava potesse esistere una persona così. Ma c’era e la sorte l’aveva portato lì. È lui, decise la vecchia signora, che continuerà la vita di questa casa quando non ci sarò più. E anche quando l’ultima gallina morì, la villa rimase vivace, anzi divenne ancora più aperta ai conoscenti e a semplici passanti, attratti dal grande giardino che prometteva ristoro d’estate e dal calore accogliente della cucina d’inverno.
Per anni ho frequentato la villa, ogni volta sorpresa dal bene che sprigionava.
Oggi la guardo dal viale, è in ordine, il tempo l’ha rispettata, anche se le porte sono sbarrate e nessuno dalla veranda saluta invitando per un caffè. Ma i platani e il noce continuano a respirare e il gelsomino inonda di profumo la primavera e il pollaio potrebbe accogliere da subito nuovi pulcini. Sono ancora lucide le targhe sui pilastri del cancello e continuano a proporre il nome della casa forse a invogliarne l’acquisto o almeno l’interesse.
Un po’ mia lo è già. Tutti i giorni ci passo, saluto il suo passato e immagino il futuro. Stasera ho anche brindato alla sua salute, con un bicchiere di bollicine che tintinnava sulle piastre di ottone, cin cin e lunga vita a te “Villa Cesarina”.