domenica 4 maggio 2008

random

“Beve qualcosa?”
“Un succo di frutta.”
“Che gusto?”
“Non ho tempo di star lì anche pensare al gusto del succo di frutta.”
“Pera, pesca, albicocca?”
“Non posso fare tutto io. La delego. Si mantenga su uno standard di mercato.”
[W. Fontana, L’uomo di marketing e la variante limone, Bompiani 2001]

“Non smettere di inseguire i tuoi sogni, ma non seguire una strada. Creala”.
Questo recita, più o meno, una pubblicità recente.
Ora, non so se lo scopo dello spot sia davvero quello di fare acquistare automobili (il prodotto reclamizzato), visto che nessuno dei patentati che conosco (e mi azzardo a dire anche di quelli che non conosco…) potrebbe comprare un’utilitaria, perché di questo tipo di mezzo si tratta, per la suggestione di potersi trasformare grazie ad essa in un urbanista moderno o in un novello pifferaio di Hammelin con la responsabilità di far fare una brutta fine agli altri automobilisti.
Peraltro, nel mondo della pubblicità life is now perché tu hai avuto sempre l’energia di un leader e io valgo, e se in una famiglia…è sempre festa una ragione ci sarà.
Forse gli slogan non servono affatto a vendere i prodotti reclamizzati, ma a spacciare parole che senza una motivazione commerciale non ci verrebbero mai dette. Ci sono frasi, infatti, e concetti soprattutto, che non avrebbero più diritto di cittadinanza nella nostra società, perché nessuno sano di mente se ne andrebbe in giro dicendo a un altro che, visto il lavoro che fai e come lo fai, meriti un assistente personale. Di solito è già tanto se ti danno uno stipendio.
Pubblicità come favole, insomma, e anche campionari di espressioni gratificanti che ci permettono di vivere meglio, nella nostra unicità sublimata, le frustrazioni quotidiane che proprio il consumismo genera.
Il figlio del mio vicino di casa, ad esempio, se ne va in giro con scarpe di sottomarche sconosciute e un giubbotto no logo, e accompagna la madre a un discount dove schiavizzano i dipendenti ma promettono di venderti sottocosto anche un rene.
Ecco, questo infelice giovinetto, cui devono mancare molto le storie che da bambino gli tenevano compagnia, e non solo quelle, ogni mattina, quando percorre quei cinquecento metri che lo separano dalla fermata dell’autobus, cammina random (si imparano anche le lingue con la pubblicità…) in mezzo alla strada, un passo sulla striscia continua della mezzeria, un passo saltellante ora qui ora lì in mezzo all’una o all’altra carreggiata.
Perché seguire un banale marciapiede, creato per pedoni che hanno rinunciato ai propri sogni?
È tutto l’inverno che lo incontro: esco lentamente con la macchina dal cancello e me lo trovo davanti intento a creare la sua strada; lo seguo ben attenta a non superarlo perché non so mai dove lo porterà il saltello successivo e potrei investire lui e i suoi sogni; sono diventata in un certo senso il suo angelo custode, rallento, seguo la sua andatura, gli guardo le spalle e se arriva qualche altra automobile deve fare i conti con me, che vigilo su quello adolescente appiedato che sta creando il suo futuro al ritmo del suo MP3, senza seguire quelle castranti e inibitorie norme e orme che altri hanno determinato e percorso.
È stato un inverno faticoso, questo, al lavoro anche malata per paura che qualche scellerato, non conoscendo la reale mission del ragazzo, facesse strage di nobili ideali ancora da realizzare.
Pero fortuna le scuole sono quasi finite.
Con gli spot dell’autunno cercherò di organizzarmi meglio.

1 commento:

efylove ha detto...

a proposito di sogni... si ricorda che le parlavo di quel racconto di Melville che mi era piaciuto tanto? è "Jimmy Rose" (e penso abbia in sè qualcosa di profondamente classico, perché l'ho trovato splendido)