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Al pane e all’acqua pure rassomigliano,
al frumento, ai paesi della luna,
al profilo della mandorla, al pesce selvaggio
che palpita argenteo
sulla strada
delle sorgenti.
[P. Neruda, Ode alle sue mani, Passigli]
La rivista cui era abbonata mia madre era un simbolo d’irraggiungibilità.
Sognavo e tentavo di ricamare alla maniera di, ma non riuscivo. Non sarei mai riuscita. Impiegai molto tempo prima che accettassi l’idea che non avrei primeggiato in quella arte che mi avrebbe resa ben accetta ai suoi occhi.
Anche mio padre aveva un affetto di carta. Aspettava ogni fine mese l’arrivo di un foglio di viaggi che gli avrebbe raccontato di posti mai visti e che lo avrebbe trasportato in scenari improponibili rispetto a quelli che lui frequentava. A dire il vero, non so neanche quanto abbia letto realmente quelle pagine, non l’ho mai visto seduto assorto nella lettura, certo era affascinato dalle mille fotografie esotiche e inusuali per l’epoca che ogni tanto ci mostrava o citava durante un pranzo o una discussione sulle nostre conoscenze geografiche. Peraltro, non amava guidare né viaggiare davvero.
Ciascuno di loro aveva insomma le sue immagini del cuore, altri luoghi per papà, altre mani per la mamma. Era l’altrove di una generazione in attesa. Era un modo di lasciare la guerra e di conoscere le ricchezze della pace.
Fino a un certo punto ho pensato che quei sogni fossero anche i miei, che le mani delle fate fossero proprio quelle capaci di abbellire le case e che i lillipuziani fossero a portata di posta.
Invece un giorno, lasciata la zavorra dell’indotto, credo di aver capito.
Di fata sono quelle mani che lavano i corpi immobili nella malattia quando i parenti se ne vanno. Di fata è la mano che sostiene un vecchio sull’autobus, che allaccia una stringa altrui. Di fata sono le mani di chi accarezza un cane e abbraccia per primo, di chi taglia le unghie a bambini di uno o cento anni, di chi disinfetta un dolore.
Di chi prende la tua tra le sue e sta zitto senza giudicare.
Le mani di fata sono mani assolute, senza faccia e senza nome. Mani improbabili, dunque, senza ricercatezza e pretese.
Mani di fata sono quelle di mia nonna a fine giornata, abbandonate in grembo come gusci di noce vuoti per il dispiacere di dover aspettare il domani per agire e aiutare.
Queste sono le mani di fata che ho voglia di ricordare e di incontrare.
4 commenti:
...sono anche quelle il cui abbraccio si riesce a percepire, quasi a palpare, nonostante la distanza. Grazie per le sue "mani di fata" e per tutto quanto... Le scriverò settimana prossima, così le racconterò i risvolti della cosa, anche se ancora non sappiamo esattamente quando verrà tutto risolto..speriamo presto! Un bacio!Carolina
questo è proprio un bel post!! ricamare però non è poi così impossibile...insomma se sono capace io!:D trovo invece assurdamente difficile l'uncinetto...!scherzi a parte, complimenti per la delicatezza e la concretezza di queste parole.
...ora so cosa fare quando ho bisogno di un abbraccio che scalda il cuore..rileggerò queste parole e sarà come quando ci vediamo una volta ogni quattro mesi e ci regaliamo un abbraccio stritolosissimo!Però questo posso leggerlo tutti i giorni! Che bello!!
vorrei anche io, un giorno, poter fare pensieri nobili e profondi quanto i suoi.
Ho molta stima nei suoi confronti.
buona serata, angelica
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