Se il tempo che condiziona la vita umana scorresse senza gettare sul proprio corso l’ombra di se stesso, se non fosse curvilineo come lo è tutto su questa terra […] le immagini del passato si presenterebbero fedeli […] ma nel tempo tutto si manifesta in modo concavo o convesso, soprattutto il passato, che per essere salvato […] deve essere corretto, restituito a quello che era, e ancor di più, a quello che stava per essere.
[M. Zambrano, L’esperienza della storia, in aut aut, maggio-giugno 1997]
I pesci rossi che abitano gli acquari rotondi (le bocce, tanto per intenderci) diventano strabici per la visione deformata della realtà che il vetro incurvato produce.
L’effetto lente, insomma, ingrandisce e distorce la vista di chi sta aldilà del vetro, con gravi danni all’equilibrio di chi vede e metamorfosi spaventose di chi è visto.
Chi sta dentro pensa di vedere qualcosa che fuori è del tutto diverso da come appare a loro. E solo a loro.
Ogni tanto qualcuno libera i pesci nella speranza che la riacquistata libertà li gratifichi a tal punto che con lo strabismo possa andarsene anche l’ottusità che li ha cullati.
Ma un malato rimane un malato, non diventa mai un ex, me lo disse un giorno, con chiarezza, un medico ruvido e pietoso come i vecchi veri, quelli asciugati dai dolori propri e altrui.
E poi chi libera i pesci è spesso chi li ha voluti dentro la boccia, ha permesso che vedessero storto, che capissero niente delle cose della vita attorno.
Così, quando escono, non possono dubitare di sé e della mano che li ha nutriti, preoccupati solo di raccontarsi che le loro ragioni e il loro bene coincidono e li proteggeranno dalla verità che si mostra non più deforme per la prima volta.
Meglio negare, negare e ri-negare.
Ma questa è una storia di pesci piccoli, tanto sciocchi da scambiare il mondo tondo con la loro boccia e da confondere i nomi del bene e del male, come si fa con i fratelli gemelli.
Ancora una volta meglio il rumore del mare.
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