domenica 26 maggio 2013

Normale, speciale


La certezza di essere poveri perché si è distaccati dalle cose o perché interiormente ci si sente liberi è una certezza umoristica. Qualunque psicologo, anche il meno esperto, consiglia di diffidare dei nostri sentimenti. I “mi pare di essere”, “sento di essere”, “credo di essere”, “io sono uno che”, sono espressioni che spesso denotano tutto il contrario di questo parere, sentire, credere. Quando uno non fa che ripetere di essere coraggioso, siate certi che muore di paura. Quando uno non fa che ripetere di essere distaccato dalle cose, di non avere interesse per ciò che ha e di cui gode, siate certi che alle cose è attaccato con strati di pece di prima qualità.
[A. Paoli, La pazienza del nulla, chiarelettere 2012]

“Come è andata la settimana?”, gli avevo chiesto non solo per cortesia, ma anche per sincero interesse. Era una persona gentile, alla quale non era difficile restituire l’attenzione che dedicava agli altri.
Mi aspettavo una risposta di quelle che non è un abuso definire prevedibili: “Bene, grazie”, oppure “Insomma, speravo meglio, meno male che è passata”, o ancora “Faticosa, non ne posso più”. Insomma, frasi così, nella logica di quella normalità, che attraversiamo ogni giorno e che scegliamo di sposare nelle mille parole (in)utili che usiamo per raccontarci.
Invece, senza guardarmi, con le mani concentrate sul lavoro e la voce sorridente, mi disse: “E' passata. Al di là di tutto, le posso dire solo che in genere tendo a non serbare rancore verso i giorni.”   
E in quel giorno (normale) ho inciampato nella libertà.

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