Dissi «Cavolo!» improvvisamente ad alta voce. Mi ricordai quando avevo detto «cavolo» parlando alla bella farmacista del paese, e subito avevo aggiunto: «Cavolo è una parola che, per non involgarire la conversazione, si usa invece di un’altra meno innocua». «Lo so» aveva detto lei, sorridendo gentilmente, «invece di accipicchia».
[Aldo Buzzi, Parliamo d’altro, Ponte alle grazie 2006]
“L’hiver fait le travail des grands maitres: il semplifie…”
[Christian Bobin, Une bibliothèque de nuages, Lettres vives, 2006]
Pensieri per una persona che non c’è più.
La prima volta che lo vidi, arrivò tardi, lasciò ad altri il compito dell’ospitalità.
Apparve subito taciturno, poco incline alla ribalta affettuosa dei saluti dovuti.
Tornava dalla spesa con il carico generoso di chi compera molto non per sé.
Uscì di nuovo, quasi subito: “Devo ritirare le materassa" disse con naturalezza.
Non l’avevo mai sentito, a Milano intendo, “le materassa”, solo letto in Manzoni e per me era parola sottile, di carta. Con lui divenne vera, l’ideale per un sonno buono.
Dopo fu normale. Il caos che gli raccontavo diventava trasparente e facile.
Aveva attraversato molti inverni, prima di diventarlo lui stesso, e aveva imparato a chiamare sole il ghiaccio e rendeva morbida la solitudine.
Non era padre, né zio, né nonno, anzi accumulava in sé soprattutto ‘non’.
Era un ‘senza’, ma la sua casa era solo ‘con’ e ‘per’.
‘Mio’ era ‘nostro’, ‘sono stanco’ si trasformava in ‘beh beh, pazienza’, ‘bellissimo’ diventava ‘quando è novello tutto è bello’.
Asciugava parole e sentimenti e gli sono grata di avermi insegnato a tradurre la vita.
"fabbricare, fabbricare, fabbricare / preferisco il rumore del mare / che dice fabbricare fare e disfare / fare e disfare è tutto un lavorare / ecco quello che so fare. scrivete. addio" (D. Campana, Cartolina postale del 13 ottobre 1916, in S. Aleramo, D. Campana, Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1918, Feltrinelli, Milano 2000, p. 72)
martedì 23 ottobre 2007
mercoledì 17 ottobre 2007
io fu, noi è
La politica si è occupata soprattutto di quello che le persone hanno. Le persone sono state identificate come produttori, come consumatori, come proprietari, compratori e venditori. Tutto questo può funzionare nel breve periodo. Non si può fare politica indefinitamente dimenticandosi di mettere al centro dell’attenzione quello che le persone sono.
[Ermanno Bencivenga, da un’intervista del 16 novembre 1992]
“Gli altri sono, bene o male, la prova che noi stiamo vivendo. Non sottovalutarli.” (1970)
[Ennio Flaiano, Diario degli errori, Adelphi 1976]
Lunghe file ai seggi. Molto stupore e sorpresa ( compiaciuti in alcuni, rancidi in altri ), nei commenti del giorno dopo.
La gente ha voglia di cambiamento, si dice. Certo, ma forse c’è altro.
In un clima, pubblico e privato, sempre più simile a uno sgocciolatoio dell’io, una coda rispettata senza ansia da prestazione, l’esercizio di una azione egualitaria, la scrittura di un segno anonimo, un voto e la democrazia, insomma, sono un invito a pensare che l’io abita, soprattutto e naturalmente, negli essiccatoi.
[Ermanno Bencivenga, da un’intervista del 16 novembre 1992]
“Gli altri sono, bene o male, la prova che noi stiamo vivendo. Non sottovalutarli.” (1970)
[Ennio Flaiano, Diario degli errori, Adelphi 1976]
Lunghe file ai seggi. Molto stupore e sorpresa ( compiaciuti in alcuni, rancidi in altri ), nei commenti del giorno dopo.
La gente ha voglia di cambiamento, si dice. Certo, ma forse c’è altro.
In un clima, pubblico e privato, sempre più simile a uno sgocciolatoio dell’io, una coda rispettata senza ansia da prestazione, l’esercizio di una azione egualitaria, la scrittura di un segno anonimo, un voto e la democrazia, insomma, sono un invito a pensare che l’io abita, soprattutto e naturalmente, negli essiccatoi.
mercoledì 10 ottobre 2007
pensa un po'
Un format televisivo di grande successo, italiano ed europeo beninteso, prevede che i concorrenti della trasmissione scelgano la risposta giusta, a una data domanda di argomento vario e sempre diverso, tra una rosa di possibili scelte che viene fornita dal conduttore. Fin qui nessuno stupore, anche se magari il quiz dei nostri ricordi non si presentava come un test a risposta multipla, ma come un esercizio di memoria e il prodotto di una conoscenza che faceva di tutto per apparire solida, seppure in un determinato ed esclusivo ambito. I tempi cambiano, si sa.
Il problema è un altro. E a me crea un’insofferenza per la quale cambio canale.
Prima di dare la risposta giudicata corretta i concorrenti sono implicitamente ma rigorosamente tenuti (suppongo sia un obbligo cui sono vincolati nel momento in cui vengono selezionati) a esprimersi con un ragionamento articolato (?) sui motivi dell’esclusione o della scelta tra le varie opzioni a disposizioni.
Ai più la cosa sembra piacere o comunque non pare ci sia nulla di irritante.
Che c’è di strano se mentre prepari la minestra senti uno che ragiona a voce alta, con un coinvolgimento intellettuale di caratura universitaria, facendo ricorso al suo passato di studente, di lettore onnivoro, di nipote di professori universitari o frugando tra il suo presente di cittadino sensibile ai problemi della comunità, di padre che segue i figli negli studi, di lavoratore felice di esserlo, e si chiede se lo scalogno sia il maschile della scalogna, una malattia prodotta dagli acari, l’abito dei sacerdoti di Aton o una pianta della Liliacee? Nulla, in effetti. Anzi, ringraziamo gli ideatori del programma che portano lo stesso sapere enciclopedico nelle cucine, nelle stanze d’ospedale, nelle sale d’attesa e anche nelle galere. Tutti uguali insomma (ma per la televisione non è una novità), tutti sapremo che cosa sia lo scalogno, e vivremo infelici ma sapienti.
Mentre il nostro concorrente ragiona e ragiona, e ci mostra abilità logiche e dialettiche, il nostro brodino cuoce e ai nostri figli che protestano perché vorrebbero una pizza e ci chiedono perché non possano essere accontentati, ci sentiamo rispondere, semplicemente: “Perché no”.
O, magari, mentre ascoltiamo in pigiama il nostro uomo che ha già escluso la veste sacerdotale e si sta arrovellando per i suoi scarsi ricordi della morfologia nominale, passa il medico di turno che preghiamo di aiutarci a capire come poter convivere con la malattia appena accertata e ci sentiamo rispondere: “Non so che dirle, se ne faccia una ragione, sa quanti sono come lei”.
E se un nostro collega ci dovesse dire, a fronte di una richiesta di spiegazione per un comportamento scorretto: “Non ho niente da dirti, se ti va bene è così, altrimenti fattela andare bene”, non serve indignarsi o stupirsi di noi stessi o degli altri.
La vita non è un format. Non fa audience. Il più delle volte non paga.
Dunque non serve ragionare. Potremo continuare a essere infelici, sapienti e indisponenti, tanto nessuno si accorgerà.
Perché pensare è un virus contagioso quando ha i lustrini, ma piuttosto che rischiare ogni giorno un’epidemia meglio farsi un vaccino di quotidiana incomunicabilità.
Il problema è un altro. E a me crea un’insofferenza per la quale cambio canale.
Prima di dare la risposta giudicata corretta i concorrenti sono implicitamente ma rigorosamente tenuti (suppongo sia un obbligo cui sono vincolati nel momento in cui vengono selezionati) a esprimersi con un ragionamento articolato (?) sui motivi dell’esclusione o della scelta tra le varie opzioni a disposizioni.
Ai più la cosa sembra piacere o comunque non pare ci sia nulla di irritante.
Che c’è di strano se mentre prepari la minestra senti uno che ragiona a voce alta, con un coinvolgimento intellettuale di caratura universitaria, facendo ricorso al suo passato di studente, di lettore onnivoro, di nipote di professori universitari o frugando tra il suo presente di cittadino sensibile ai problemi della comunità, di padre che segue i figli negli studi, di lavoratore felice di esserlo, e si chiede se lo scalogno sia il maschile della scalogna, una malattia prodotta dagli acari, l’abito dei sacerdoti di Aton o una pianta della Liliacee? Nulla, in effetti. Anzi, ringraziamo gli ideatori del programma che portano lo stesso sapere enciclopedico nelle cucine, nelle stanze d’ospedale, nelle sale d’attesa e anche nelle galere. Tutti uguali insomma (ma per la televisione non è una novità), tutti sapremo che cosa sia lo scalogno, e vivremo infelici ma sapienti.
Mentre il nostro concorrente ragiona e ragiona, e ci mostra abilità logiche e dialettiche, il nostro brodino cuoce e ai nostri figli che protestano perché vorrebbero una pizza e ci chiedono perché non possano essere accontentati, ci sentiamo rispondere, semplicemente: “Perché no”.
O, magari, mentre ascoltiamo in pigiama il nostro uomo che ha già escluso la veste sacerdotale e si sta arrovellando per i suoi scarsi ricordi della morfologia nominale, passa il medico di turno che preghiamo di aiutarci a capire come poter convivere con la malattia appena accertata e ci sentiamo rispondere: “Non so che dirle, se ne faccia una ragione, sa quanti sono come lei”.
E se un nostro collega ci dovesse dire, a fronte di una richiesta di spiegazione per un comportamento scorretto: “Non ho niente da dirti, se ti va bene è così, altrimenti fattela andare bene”, non serve indignarsi o stupirsi di noi stessi o degli altri.
La vita non è un format. Non fa audience. Il più delle volte non paga.
Dunque non serve ragionare. Potremo continuare a essere infelici, sapienti e indisponenti, tanto nessuno si accorgerà.
Perché pensare è un virus contagioso quando ha i lustrini, ma piuttosto che rischiare ogni giorno un’epidemia meglio farsi un vaccino di quotidiana incomunicabilità.
martedì 2 ottobre 2007
la f[r]ase semplice (per gli altri, forse)
Io mangio la mela. La mela è mangiata da me.
Si racconta che, un giorno, dopo un limitato agire e un lungo subire, io, mela e me si siano alleati e abbiano rifiutato di prestarsi al consueto gioco delle parti.
Lo stomaco pare abbia ringraziato e vinto gli antichi conati di protesta.
Grazie a nuovi alimenti e complementi acquistammo preziosi centimetri di consapevolezza.
(per una grammatica politica)
Si racconta che, un giorno, dopo un limitato agire e un lungo subire, io, mela e me si siano alleati e abbiano rifiutato di prestarsi al consueto gioco delle parti.
Lo stomaco pare abbia ringraziato e vinto gli antichi conati di protesta.
Grazie a nuovi alimenti e complementi acquistammo preziosi centimetri di consapevolezza.
(per una grammatica politica)