giovedì 1 novembre 2007

A ciascuno il suo

Dopo la guerra io speravo che sì, diventavamo davvero marito e moglie. Avevo pensato anche ai nomi dei bambini. Invece lui, dopo il lavoro, andava al trani, mica neanche a bere, a guardare gli altri. E poi andava alla corale della chiesa di Sant’Eustorgio e quando tornava io era già a letto. Avevo il sonno leggero, lo sentivo infilarsi sotto le coperte e pensavo che era la volta buona. Ma lui, come toccava il cuscino, era belle che addormentato. Allora ga metevi lì i peè, che erano sempre un giaz. Almeno scaldum i peè, demoni. Lü al diseva nient, al sa girava per tucam dumè i peè e al s’indurmentava sübit.
Insomma hai capito, tuseta, sono una si-gno-ri-na di guerra.

[dal Diario di una sposa per procura]

Se non ricordo male, una decina di anni fa in un film di Abbas Kiarostami, Sotto gli ulivi, i due giovani e innamorati protagonisti si dicevano che il matrimonio è quando «io preparo una tazza di the a te e tu prepari una tazza di the a me».
Oggi, nel film di Silvio Soldini Giorni e nuvole, una coppia vecchia non certo di anni, ma di certezze, sembra autosospendersi dal compito di cercare di essere una bevanda ristoratrice l’uno per l’altro.
Nel plauso generale che ha accompagnato l’uscita del film, qualche recensione ha evidenziato che, pur essendo una pellicola di valore, manca nella storia il calore delle emozioni di un altro film di Soldini, Pane e tulipani, dove una vacanza dal matrimonio scatena un’avventura d’amore per la vita salutare non solo per la protagonista, ma anche per gli altri personaggi, accomunati da una lunga e mai diagnosticata, eppure grave, malattia del quotidiano.
Nella storia di oggi, invece, la famiglia di Elsa e Michele gode di ottima salute fino all’esplosione di un male tanto inaspettato e traumatizzante per sé, quanto, in fondo, prevedibile anche se doloroso per gli altri, che impone ai protagonisti parole e tempi fino a quel momento sconosciuti. E la fatica che ne esce è dura e non concede spazi alla morbidezza della poesia, senza la quale si può mangiare ma non si può vivere.
Eppure a me sembra che questo ultimo film del regista milanese non abbia niente da invidiare al precedente: entrambi sono storie dei tempi e il tempo che stiamo vivendo oggi è sicuramente più spietato anche solo di pochi anni fa. Emblematica mi è sembrata la storia degli ex operai di Michele a loro volta senza un lavoro e sul punto, insieme con lui, di raccontarci una favola di pane e tulipani. Ma l’esito di questa boccata d’aria non è del tutto piacevole, forse è aria calda, d’accordo, ma una volta passata ci lascia arsi e assetati più di prima.
Oggi, sembra dire il film, e in questo è perfetto, è un’altra storia. Nessuno regala il sereno. Oggi bisogna convivere con questo cielo un po’ così, di giorno nuvoloso senza pioggia vera, di notte buio senza stelle vive.
E poi, il cielo è anche troppo. Per due basta quello in una stanza.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Finalmente riesco a sbirciare in questo suo "angolo" e così, un po' incredula, posso "leggerla", dopo averla ascoltata per due anni. E non posso fare a meno di sorridere riconoscendo in alcune frasi quello che in classe ho imparato a conoscere un po' di lei e allo stesso tempo trovandomi di fronte a qualcosa di completamente diverso.
Volevo farle sapere che sto, un po' per volta, riempiendo i miei gradini. Lo faccio per iscritto, per ora: un pensiero per ogni gradino. è più difficile di quanto pensassi seguire il consiglio che mi ha dato. Però ho scoperto che se prima li scrivo, poi è più facile convincere i pensieri a seguirmi e a farmi compagnia sulle scale..è un'inizio insomma..non sono ancora tanto brava nell'arte di farcire gli scalini di pensieri resistendo alla tentazione di correre, ma penso di avere buone speranze di miglioramento.
Avrei voluto scriverle una mail, ma ora non ho con me l'indirizzo quindi sono passata di qui. Ci tenevo solo a farle sapere che uno dei trenta gradini è sempre colmo di gratitudine nei sui confronti, e anche un po' di nostalgia, ma una nostalgia bella, che non mi rattrista troppo (puntualizzo perché non voglio che si preoccupi) e mi fa sorridere mentre ricordo.
Un abbraccio..

Arianna

Anonimo ha detto...

Anche io ho visto giorni e nuvole ed è stato uno dei film che ho fatto più fatica a guardare in assoluto. Hai ragione, non c'era poesia. Nessuna. Se ci fosse stata mi sarei commossa, avrei forse pianto. Quello che ho provato, invece, è stato quasi rifiuto: fastidio.
Ma il cielo di giorni e nuvole non si può rifiutare. Bisogna proprio conviverci: ci viviamo sotto, anzi dentro...
E, anche se vorrei sbagliarmi, penso che sia uno dei pochi casi in cui nemmeno Bartebly protrebbe preferire di no..

Chiara