Sarà vero per un capo di stato, ma nella coda ordinata dei pazienti in cui mi confondo di primo mattino, mentre guido, durante il lavoro nel pomeriggio, nello studio e nella lettura serale, cerco di capire. Quante sono le persone alle quali si potrebbe rivolgere l’accusa di indecisive: sì, lui certo, e anche loro e poi lei e sua sorella e il mio capo e la collega andata in pensione e l’infermiera all’accettazione e mio marito e l’assessore e il sindaco del paese di A e quello di B. Vale anche la mia candidatura? Anche il parroco a ben pensarci. Anche la persona che ho votato alle ultime elezioni. Mio padre pure, che si assentava dalle decisioni per difendersi dalla paura di scoprirsi inadeguato. Non c’è scampo, l’elenco si allunga dolorosamente perché accompagnato dalle storie di cui è portatore.
Alla fine forse ho trovato: e se gli incerti, i non decisivi fossero tali solo perché imprigionati dalla loro gentilezza, ad essa dedicati, cioè finti singolari, poco pieni di sé, portatori sani dell’attenzione agli altri e al contesto, inclini al compromesso che non umilia, ma che abbraccia? Oggi però, in queste democrazie proclamate e non condivise, nelle nostre famiglie ostentate e poco spaziose forse andiamo solo alla ricerca del neurone muscoloso, utile a vincere senza partecipare.
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