Non si sa che cosa dire vuol dire che verrebbero in mente delle cose da dire, ma che si sente o si capisce che quelle cose lì non sono adeguate, non sono sufficienti, non bastano, non risolvono, non smuovono, non raggiungono, spesso non sfiorano nemmeno la complessità, la profondità, il senso di ciò che si è presentato sulla scena del discorso: tanto più se significativamente per chi parla e per chi ascolta.
E allora ci si ferma, sull’orlo di un abisso.
E non si dice.
[Stefan0 Bolognini, Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire, Bollati Boringhieri]
Il cassiere ha visto. La persona alla destra della cassa era arrivata prima di quella alla sinistra. Nettamente. Poca gente, la coda giusta per un martedì.
“Prego, a chi tocca?”, è la formula di rito, non conta ciò che si vede e si sa.
“A me”, dice a voce alta quella di sinistra.
Quella di destra la guarda in silenzio, perché anche nelle piccole cose il diritto dovrebbe essere trasparente. Il cassiere tace.
“Ma è chiaro che tocca a me, mi ero appoggiata alla cassa, guardi ho i soldi in mano”, parla – grida - solo la signora di sinistra. Nessuno la ostacola nella sua galoppata trionfante, ma insiste, vuole vincere la gara del giorno.
Il cassiere procede, il suo contratto gli impone di scivolare tra le pieghe e le scuciture della realtà, mentre l’altra resta muta.
“Che dire? E’ incredibile, ma è sempre più spesso così”, commenta il ragazzo all’uscita dal ring della combattente.
“Non ci sono parole”, accenna l’acquirente doppiata.
Non sapere cosa dire salverà pure se stessi dall’abisso ma, qualche volta, sogna di spingere l’altro nell’abisso. Così, per risolvere un problema.
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