"fabbricare, fabbricare, fabbricare / preferisco il rumore del mare / che dice fabbricare fare e disfare / fare e disfare è tutto un lavorare / ecco quello che so fare. scrivete. addio" (D. Campana, Cartolina postale del 13 ottobre 1916, in S. Aleramo, D. Campana, Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1918, Feltrinelli, Milano 2000, p. 72)
domenica 18 dicembre 2011
Partenza laica
lunedì 12 dicembre 2011
Natalitudine
Quasi laureata, appena sfidanzata, già insegnante part-time, giornalista a richiesta, piena di speranze e di progetti insomma, nessuna intenzione di accontentarsi delle piccole cose.
Eppure quel libro conteneva già tutto quello che sarebbe diventato parte di me: l’attrazione fatale per il tema della maternità, difficile possibilmente (pochi anni dopo recuperai un volumetto raro dal titolo profetico Mi riguarda, in cui la Sereni con Pontiggia, Flaiano e altre anime belle della cultura italiana si interrogavano sull’essere genitori disabili), l’interesse per la cucina come gioco e cuore, il bisogno disperato di fare casa ovunque si stia (per poter dire “ritorno”), l’emozione di scoprire che il quotidiano è degno di scrittura.
Da allora, con intermittente frequenza (ogni volta che conosco qualcuno o inizio a frequentare per amicizia o lavoro luoghi nuovi) uno dei miei interessi è immaginare e indovinare chi è l’addetto alla sostituzione del rotolo della carta igienica: se lo fa chi capita, se sono gli adulti di casa a turno, se è sempre la moglie-madre, se i maschi si accorgono della prossima fine del vecchio rotolo. É, per esempio, molto interessante notare che nei luoghi pubblici manca regolarmente e, infatti, il più delle volte sono l’emblema della trascuratezza e della sporcizia. Chi la sostituisce nei luoghi di lavoro lo fa in genere senza affetto, lo si capisce per via del fatto che spesso bisogna segnalarne l’assenza ogni volta a una persona diversa (a seconda del turno).
A volte mi diverto a trovare nella vita di ogni giorno gesti simbolicamente simili: ristampare una copia dell’ultimo modulo che sto prelevando, riempire la zuccheriera che pure non uso, togliere la frutta dal frigorifero in estate o dal balcone in inverno perché non sia troppo fredda per il pasto.
Eppure niente è più vicino allo spirito del Natale della sostituzione del rotolo di carta igienica.
martedì 6 dicembre 2011
Spero, promitto e iuro senza futuro
Scuote, infatti, la barbara trascuratezza nei confronti del genio sprigionato dalle loro parole, la profondità della loro energia intellettuale e, mi si perdoni, la potente inattualità delle loro teorie.
Non tanto perché il tempo è passato ancora una volta invano e ancora una volta la storia non è stata magistra di nulla, ma perché oggi più che mai si può solo denunciare l’assenza, o meglio, la morte dell’idea politica ed economica che dovrebbe informare di sé ogni scelta personale e collettiva. La progressiva e mirata trasformazione dei cittadini in consumatori e dei politici loro rappresentanti in dirigenti dei punti vendita delle risposte immediate ai pruriti del quotidiano (che loro stessi solleticano), non lascia spazio al futuro.
Non stupisce che l’ultimo passaggio (l’ultimo?) ci scopra precari e poveri, incapaci soprattutto (solo?) di acquistare.
Perché di pensare abbiamo smesso da tempo e nessuno se ne è lamentato.
lunedì 28 novembre 2011
Fuori dal coro
Nei racconti che leggeva la maestra compariva spesso una fanciullina dagli abiti modesti, che abitava in una casa modesta, dove di solito appariva una tavola apparecchiata modestamente (a quel punto io, che non riuscivo bene ad afferrare il significato del termine, se non associandolo magari ai vestiti indossati da Cenerentola prima del principesco matrimonio, immaginavo soprattutto un tavolo abitato da frutta di piccole dimensioni, che mi sembrava il segnale più evidente della “modestia”: non di rado ancora oggi spesso mi scopro a sbirciare la spesa e le mani di chi sceglie la frutta di piccolo calibro, massimo emblema della mia modestia immaginaria appunto).
Di questi tempi l’aggettivo compare raramente, solo nelle cronache locali riferito alla vita o alle abitudini di qualche improvvisato delinquente di provincia (o delle sue vittime). Da quando, però, la fantasticheria silenziosa delle parole è guidata dall’influenza delle immagini televisive che non lasciano spazio a un’adeguata conoscenza del vocabolario né a originali scampagnate dei pensieri, fatichiamo a recuperare il senso delle parole. E della vita.
Quale casa è modesta? Quanti locali e quanta oggettistica richiede la modestia? Una bigiotteria smagliante fa la donna più modesta di un unico monile d’oro ben indossato? E un buco nel calzino di un uomo di potere basta a renderlo modesto? Modestia è avere le scarpe rotte, averne meno degli altri o essere consapevole dei propri piedi? Sarà più modesto credere o dubitare? E che cosa sarà nobilmente modesto, coltivare l’essenziale o pensare che è essenziale realizzare i nostri desideri?
Alla fine mi sembra che siamo diventati tutti invariabilmente modesti: chi possiede e chi no, chi ha parole e chi è muto, tutti accomunati dalla modestia dell’incultura, che ci toglie il respiro della coscienza.
domenica 20 novembre 2011
Mariolina
martedì 15 novembre 2011
In direzione ostinata e contraria
Quasi che le stagioni (un tempo travestito di colori è più facile da sentire) fossero solo una palestra dove sviluppare ciò che meno abbiamo, l’immaginazione appunto.
I cani abbaiano per un presagio di pericolo, le fate sanno ciò di cui il mondo ha bisogno, i bambini giocano a quando “eravamo pirati”.
Noi, invece, aspettiamo che ci chiedano aiuto, ci dichiarino l’amore, ci annuncino una malattia, chissà poi se per allergia al reale o amore d’apparenza.
Qualche volta è anche bello attraversare la vita con gli abiti sbagliati.
martedì 8 novembre 2011
Ma
Sarà vero per un capo di stato, ma nella coda ordinata dei pazienti in cui mi confondo di primo mattino, mentre guido, durante il lavoro nel pomeriggio, nello studio e nella lettura serale, cerco di capire. Quante sono le persone alle quali si potrebbe rivolgere l’accusa di indecisive: sì, lui certo, e anche loro e poi lei e sua sorella e il mio capo e la collega andata in pensione e l’infermiera all’accettazione e mio marito e l’assessore e il sindaco del paese di A e quello di B. Vale anche la mia candidatura? Anche il parroco a ben pensarci. Anche la persona che ho votato alle ultime elezioni. Mio padre pure, che si assentava dalle decisioni per difendersi dalla paura di scoprirsi inadeguato. Non c’è scampo, l’elenco si allunga dolorosamente perché accompagnato dalle storie di cui è portatore.
Alla fine forse ho trovato: e se gli incerti, i non decisivi fossero tali solo perché imprigionati dalla loro gentilezza, ad essa dedicati, cioè finti singolari, poco pieni di sé, portatori sani dell’attenzione agli altri e al contesto, inclini al compromesso che non umilia, ma che abbraccia? Oggi però, in queste democrazie proclamate e non condivise, nelle nostre famiglie ostentate e poco spaziose forse andiamo solo alla ricerca del neurone muscoloso, utile a vincere senza partecipare.
domenica 30 ottobre 2011
Voltare pagina
domenica 16 ottobre 2011
Domani e anche dopo
lunedì 3 ottobre 2011
Tornare
lunedì 7 marzo 2011
A proposito di elenchi...
domenica 27 febbraio 2011
Resistenza
domenica 16 gennaio 2011
Pazienza
sabato 1 gennaio 2011
La mia bambina
La mia bambina
è un anno bisestile
La mia bambina
è un fiume carsico
La mia bambina
è la radice di un platano
La mia bambina
è la sirena di un’ambulanza
La mia bambina
è il giorno della vigilia, mai la festa
La mia bambina
è l’ingrediente, non il piatto
La mia bambina
è nata nel secolo scorso, quindi è vecchia
La mia bambina
è l’amante e non la moglie
La mia bambina
è la luce lampeggiante di un faro
La mia bambina
è l’alba, mai il giorno
La mia bambina
è una betulla al mare
La mia bambina
è un quaderno bianco
La mia bambina
è un gelato d’inverno
La mia bambina
è un gatto che ama il rosso
La mia bambina
è un armadio piccolo, per una sola stagione
La mia bambina
è non potere dire mai “vorrei”.
La mia bambina
non è mia.